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Commenti e Inchieste

Dare i numeri è un'arte. Parola di statistico

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 08:24.

«Ma fra tanti problemi al mondo, l'Onu non aveva meglio da fare che celebrare la Giornata mondiale della statistica». Sono sicuro che questa riflessione è circolata nella mente di molti tra coloro che hanno scoperto che domani, 20 ottobre, si festeggia per la prima volta questa ricorrenza. In realtà, molti paesi celebrano da tempo la loro "giornata della statistica", ma il fatto che l'Onu abbia voluto ricordare a tutto il mondo l'importanza di questa disciplina e il suo ruolo fondamentale per la democrazia e la politica dovrebbe indurci a spendere qualche minuto per capire le motivazioni di una tale scelta.


Oggigiorno disponiamo di una quantità senza precedenti di dati, e di dati statistici in particolare. Diciamo di vivere nella "società dell'informazione" e che proprio l'informazione rappresenta il combustibile dell'economia moderna. Allo stesso tempo, ci sentiamo bombardati da tali informazioni e ci scopriamo incapaci di verificarne l'autenticità, nonché di afferrare il senso delle cose che ci circondano. Scrutiamo continuamente i dati nel tentativo d'intravvedere il futuro, dando importanza a movimenti infinitesimali di alcuni indicatori statistici e lasciando che i software che gestiscono i capitali sulle piazze finanziarie di tutto il mondo reagiscano automaticamente a tali movimenti. Infine, consideriamo "chiacchieroni" i politici che non citano dati statistici ma poi restiamo interdetti quando rappresentanti del governo e dell'opposizione forniscono interpretazioni diametralmente opposte dello stesso dato o, peggio, citano dati contraddittori sullo stesso fenomeno.


«It's statistics, stupid», qualcuno potrebbe dire e subito la mente andrebbe alla storia del "pollo di Trilussa", che gli italiani evidentemente assimilano con il latte materno. «It's democracy, stupid», potrebbe dire qualcun altro, riconoscendo proprio il ruolo cardine che una statistica ufficiale indipendente e affidabile deve svolgere oggi nella società dell'informazione, senza che questo determini la fine del dibattito politico.

E bbene, questo è esattamente il messaggio alla base della celebrazione della Giornata mondiale della statistica di domani. Se, infatti, non si può evitare che i dati vengano interpretati differentemente da diverse parti politiche, va combattuto che informazioni statistiche inaffidabili o costruite ad arte vengano immesse nei circuiti mediatici e prese per buone.

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Non è questa la sede per riaprire la diatriba sul "vero" tasso d'inflazione negli anni successivi all'entrata in vigore dell'euro. Vorrei solo far notare che in quegli anni la stampa, che giustamente pretende dall'Istat e dagli altri produttori di statistiche ufficiali una descrizione dettagliata delle metodologie usate, non fece altrettanto con istituti privati che diffondevano dati irrealistici, prodotti usando metodologie risibili o totalmente oscure. Perché questa discriminazione? E, soprattutto, a chi giova?


Credo che le ragioni principali di un comportamento così superficiale siano tre: la ricerca del "fatto curioso" a conferma di una tesi da dimostrare; l'opinione che la polemica faccia comunque "audience"; la convinzione che le "statistiche crescano sugli alberi". Vediamo tre casi concreti, molto recenti. Il primo: è stato ampiamente dimostrato come, in Italia, percezioni sulla sicurezza e dati sulla criminalità si siano mossi negli ultimi anni in direzione opposta. Perché? Forse perché, nel nostro paese, lo spazio dedicato alla "cronaca nera" dai telegiornali è stato, soprattutto in certi periodi, molto maggiore rispetto a quello dedicato allo stesso tema in paesi con tassi di criminalità analoghi al nostro, il che alimenta la sensazione di una crescente insicurezza anche quando i reati tendono a diminuire.
Secondo esempio: pochi giorni fa la Banca d'Italia ha pubblicato una stima del sottoutilizzo dell'offerta di lavoro (11%), che comprende, oltre ai disoccupati in senso stretto, anche coloro i quali sono in cassa integrazione e non cercano più lavoro perché scoraggiati. Ebbene, i media hanno subito contrapposto questa informazione al tasso "ufficiale" di disoccupazione, come se uno dicesse che il tachimetro della macchina non funziona perché il contagiri indica un valore diverso. Infine, come terzo esempio prendiamo il recente annuncio che Google ha iniziato a calcolare un indice dei prezzi al consumo dei prodotti venduti sul web. Se rilevare, come si fa per l'indice dei prezzi pubblicato dall'Istat, oltre 500mila prezzi al mese, secondo una metodologia definita in sede europea allo scopo di evitare possibili distorsioni non basta a evitare polemiche, per quale ragione bisognerebbe dare importanza a un indice che soffre di una non rappresentatività dei beni, di un'autoselezione della popolazione degli acquirenti e cosi via?


Questi esempi dimostrano forse, come recentemente sostenuto dal presidente della Royal Statistical Society, che la ragione per cui tutti pensano di poter trattare con superficialità i dati statistici risiede nel fatto che non si ha una chiara idea di quanto sia complesso (e costoso) produrre informazioni di buona qualità, attività alla quale, nel caso dell'Istat e degli enti del sistema statistico nazionale, si dedicano quotidianamente, con passione e competenza professionale, migliaia di persone. A esse, in primo luogo, spetta il compito di essere sempre più trasparenti. Ma ai media, agli esperti tematici, ai politici e ai cittadini è richiesto maggior rispetto e cura nel maneggiare i dati.


A questo ci richiama la Giornata mondiale della statistica ed è emblematico che essa si celebri a pochi giorni dalla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale di due atti fondamentali per la statistica pubblica italiana: il primo è la legge nazionale che riconosce all'Istat quell'indipendenza scientifica proposta dall'Onu e dalla Ue per gli istituti di statistica, rafforza il ruolo dell'Istituto come coordinatore di tutta la pubblica amministrazione in materia statistica e dispone la creazione della Scuola superiore di statistica e analisi sociali ed economiche. Attraverso il secondo, il sistema statistico nazionale si dota di uno strumento forte per il controllo di qualità dei dati prodotti da tutti gli enti pubblici.
Come diceva una pubblicità di qualche anno fa, «la fiducia è una cosa seria che si dà alle cose serie». La statistica ufficiale è certamente una cosa seria, che deve meritarsi la fiducia del paese con atti concreti. Ma la statistica può essere associata anche a qualcosa di divertente. Basta guardare alle definizioni che sono state proposte da tanti cittadini attraverso Twitter sul tema "statistica è..." in risposta al concorso lanciato dall'Istat in occasione della Giornata mondiale. Qualche esempio? «La matematica è la tv analogica; la statistica è la tv digitale: ha molti più canali di trasmissione». «La statistica è... dare i numeri e non dare di matto». «Sono statisticamente sicura che nella vita non v'è certezza». E se si scoprisse che, al di là degli stereotipi, anche in questo caso gli italiani capiscono molto bene cosa è importante?
Enrico Giovannini è il presidente dell'Istituto nazionale di statistica

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