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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2010 alle ore 06:38.
Di questi tempi non è facile essere il segretario del principale partito d'opposizione, soprattutto all'indomani di una manifestazione ben riuscita come quella organizzata dalla Fiom.
Non è facile perché al Pd, da una parte e dall'altra, si chiede di comportarsi come se fosse ancora un grande partito novecentesco che sceglie di aderire o non aderire a una grande manifestazione del sindacato operaio. Ma il Pd non è più quel partito, così come il corteo di sabato scorso è stato ben altro che un evento esclusivamente sindacale.
Si spiega anche così l'incapacità della leadership democratica di argomentare in modo convincente la posizione assunta sulla manifestazione. Pierferdinando Casini, del tutto legittimamente, chiede a Bersani di prendere le distanze da una piazza «in cui si accusa il capitalismo di aver depredato la gente». Dal fronte opposto sono altri, e altrettanto legittimamente, a chiedere che il Pd sposi fino in fondo le ragioni della protesta Fiom.
Preso in mezzo, Bersani ha un bel da fare nel ricordare le ragioni dell'autonomia del Pd («Il compito del partito è avere un progetto suo e non misurare le distanze da un sindacato»). Ma sullo sfondo rimane il sospetto che l'antico collateralismo stia tornando a farsi sentire con il trucco della «necessità di ascoltare tutti» o con il camuffaggio che permette al segretario di partecipare per interposta persona (quella del suo assistente), tanto più nell'imminenza di uno scontro elettorale che non consentirebbe al Pd di perdere una sola fetta di consenso a sinistra.
In realtà, in tutto questo non vi sarebbe alcuno scandalo, perché il rapporto che corre oggi tra il Pd e la Fiom è quanto di più lontano dalle relazioni che intrattennero a suo tempo il Pci e i sindacati dei metalmeccanici quando la posta in gioco era la rappresentanza unitaria, politica o sindacale, del mondo del lavoro salariato.
Oggi sia il Pd che la Fiom sono attori, entrambi politici ed entrambi minoritari, di una partita che si svolge dentro il limitato perimetro dell'opposizione al berlusconismo. Un campo angusto e affollato, dove negli ultimi anni si sono moltiplicati i pretendenti a porzioni di consenso piccole o grandi ma mai risolutive. E tra i costi della rinuncia del Pd alla vocazione maggioritaria vi è anche la necessità per Bersani e i suoi di ricontrattare i termini dell'alleanza con la Fiom, così come si sta facendo con Vendola e Di Pietro.