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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2010 alle ore 08:58.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2010 alle ore 12:00.
Inattesa, frettolosa, persino un po' incoerente. È una Cina diversa da quella finora immaginata, quella che ieri ha fatto salire i tassi ufficiali. Quell'intervento (+0,25 punti percentuali per prestiti e depositi a un anno) è poca cosa, rispetto ai ritmi di crescita dell'economia, all'andamento dell'inflazione; ma è un segnale dai risvolti anche inquietanti.
La Cina è in difficoltà. Agli occidentali piace immaginarla come un monolite - gestito per di più da un Partito comunista che dall'alto dispone di tutto - ma non è così, e non è mai stato così, nei lunghi millenni della storia del paese. Il problema, il rischio, di oggi si chiama bolla, e tutti sanno quanto possa essere pericolosa. Le quotazioni dei mercati finanziari, i prezzi delle case, i mercati del credito sono surriscaldati, e da tempo; le misure amministrative - l'ultima, rivolta alle sei maggiori banche, risale a pochi giorni fa - sono evidentemente risultate insufficienti. Con i prezzi al consumo che aumentano al ritmo del 3,5% annuo, anche se in rallentamento, i tassi reali erano diventati negativi e questo avrebbe ulteriormente alimentato l'inflazione finanziaria. Senza contare che negativi erano diventati anche i rendimenti reali sui depositi delle famiglie, che avrebbero così visto erodere redditi e risparmi.
Occorreva quindi qualcosa, possibilmente un intervento "chirurgico" e non troppo traumatico, che permettesse al partito-stato di frenare le aspettative inflazionistiche su tutti i mercati. Così la Banca del popolo ha alzato i tassi in modo selettivo: per i prestiti ha "stretto" insistendo sulle brevi durate, per ridurre una "speculazione" sempre più vivace; per i depositi invece sul lungo termine, per proteggere i risparmi.
La svolta è tutta qui. La crescita economica, che era già prevista in rallentamento nel 2011 e ora potrebbe ulteriormente frenare, è passata in secondo piano, insieme al timore di "gonfiare" le (poche) attese di un apprezzamento dello yuan, che sono subito ripartite: la manovra è già stata interpretata come un gesto distensivo verso gli Usa in vista del vertice del G-20 di questa settimana, e Pechino userà il rialzo anche a scopi diplomatici. Non si pensi però che i cinesi abbiano preso un'iniziativa comunque dirompente, ed esclusa solo pochi giorni fa, soltanto per ragioni di politica estera di breve respiro.