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Commenti e Inchieste

Passo tattico sullo scudo, il dissidio sulla giustizia resta profondo

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2010 alle ore 08:54.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2010 alle ore 12:01.

Cosa è cambiato all'interno della maggioranza sulla questione cruciale della giustizia? In sostanza non molto, salvo il fatto che il gruppo di Fini paga qualche prezzo alla scelta di votare «sì», in commissione al Senato, sul punto della retroattività del Lodo Alfano costituzionale per le alte cariche. Ma era previsto. Da tempo la strada dello «scudo giudiziario» per via costituzionale appariva obbligata. E mai Fini si è dissociato: anzi, aveva più volte precisato, nel pieno delle polemiche contro Berlusconi, che era meglio definire uno «scudo» ad personam piuttosto che scassare il sistema giudiziario con una riduzione perentoria dei tempi dei procedimenti (il cosiddetto «processo breve»).
E se si parla di «scudo», è ovvio che i favorevoli devono accettarne la retroattività. Anche Chirac in Francia fu protetto dai processi nel corso dei dodici anni del mandato presidenziale: ma le accuse si riferivano, è logico, alle attività dell'uomo politico precedenti la sua elezione all'Eliseo.

Non è strano allora che i finiani abbiano agito come avevano sempre promesso: sostenere lo «scudo» per Berlusconi e mantenere tutte le loro riserve circa alcuni aspetti della riforma della giustizia che Alfano sta preparando. Qui il presidente della Camera ha più volte dichiarato che con i suoi amici non sosterrà provvedimenti di legge concepiti «contro la magistratura». Quindi si tratterà di verificare caso per caso come sono formulati i vari articoli della riforma. Come dire che non c'è alcun via libera, allo stato delle cose. Al contrario, ci sono le premesse di un duro confronto.
Si dirà che al premier interessa soprattutto lo «scudo» e che su questo Fini è stato conciliante. La verità tuttavia è più complessa: l'iter di tale «scudo» è ancora molto lungo (due letture parlamentari) e poi dovrà svolgersi un referendum confermativo. Ieri abbiamo visto solo il primo passo in un sentiero tortuoso. Ed è difficile che il presidente del Consiglio possa sentirsi davvero tranquillo rispetto a un esito ancora lontano nel tempo.

Quanto al prezzo mediatico pagato da Fini, esso era inevitabile. Per una parte dell'opinione pubblica lo «scudo» equivale a una grave ingiustizia, a un'ancora di salvezza offerta a Berlusconi. E il presidente della Camera, nel corso di mesi infuocati, si è costruito un'immagine di strenuo sostenitore del valore della legalità. Molti dei suoi sostenitori respingono quella che appare loro un'inaccettabile ambiguità. È la prova che il contrasto con Berlusconi è ormai così profondo da rendere gravoso qualsiasi compromesso. Fini può decidere di camminare sul crinale, ma sa di correre un rischio: quello di deludere i suoi sostenitori che chiedono scelte via via più radicali.

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Tags Correlati: Alfano | Berlusconi | Di Pietro | Eliseo | Gianfranco Fini | Giustizia | Pd | Senato |

 

L'opposizione invece, contraria allo «scudo», ha gioco facile nell'attaccare la maggioranza. Può aumentare la pressione su Fini, proprio mettendone a nudo le apparenti incertezze. E finalmente trova un tema forte e unificante da proporre al suo elettorato. I toni decisi di Bersani («una vergogna») non stupiscono. A lungo il segretario del Pd ha dovuto sopportare il dinamismo di Fini, che attirava su di sè i riflettori in qualità di oppositore numero uno del premier. Mentre Di Pietro chiudeva la tenaglia mostrandosi sempre più intransigente del Partito Democratico. Ora, su una norma davvero controversa e discutibile, Bersani rimette in fila il centrosinistra. Per l'opposizione non è molto, ma è già qualcosa.

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