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Il grande oratore Obama ora deve mostrare i denti

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2010 alle ore 08:41.
L'ultima modifica è del 28 ottobre 2010 alle ore 09:31.

La storia sarà più generosa con il primo biennio dell'amministrazione Obama di quanto non saranno gli elettori il prossimo martedì. Ma la storia ama gli elenchi, e il bilancio del 44° presidente e della tanto bistrattata 111^ legislatura può vantare una sfilza di leggi importanti che non si vedeva dai tempi della Great Society di Lyndon Johnson e del New Deal nel 1933.

Oltre ai due grandi successi a tutti noti (la riforma del settore finanziario e la riforma sanitaria), sono stati approvati da questo governo e questo congresso numerosi provvedimenti importantissimi ma meno conosciuti, che puntano a correggere grossolane iniquità della società americana: la copertura sanitaria per 11 milioni di bambini che finora ne erano privi, la legge che consente alle donne di citare in tribunale un datore di lavoro che non le paga quanto gli uomini che fanno lo stesso lavoro.

Ma almeno sotto un aspetto, di cruciale importanza, la storia non sarà indulgente con il presidente accerchiato: la sua incapacità di difendere il proprio potere. Un errore fatale originato dall'unico difetto che nessuno, guardando la sua ascesa alla Casa Bianca costellata di tanti brillanti esempi di eloquenza retorica, avrebbe mai pensato potesse avere Obama: l'incapacità di comunicare con i cittadini. Ma c'è da dire che Obama è sempre stato più a suo agio con i discorsi solenni che con le chiacchierate alla pompa di benzina. Per conservare la simpatia della gente bisogna scendere dalle grandi altezze dello spirito a livelli terra terra, e questo presidente alla semplificazione è allergico per natura.

Il che non significa che sul lungo periodo sarà ricordato come un perdente. È ancora troppo presto per redigere il necrologio del suo governo. Anche se i repubblicani dovessero riuscire a prendere il controllo di entrambe le Camere non devono aspettarsi, nella cinerea alba del 3 novembre, di vedere un presidente bastonato presentarsi nel Giardino delle Rose della Casa Bianca con il capo cosparso di cenere. Obama sa benissimo che questa vittoria per i repubblicani potrebbe anche trasformarsi in un boomerang. Perché quali scelte hanno nei prossimi due anni? O si lasceranno cooptare nella politica dell'economia di crisi, o, più probabilmente, rimarranno il Partito del No, una posizione che di qui a due anni incontrerà molto meno favore presso gli elettori di quello che loro si immaginano. Soprattutto Obama costringerà i repubblicani a dire esattamente dove intendono apportare quei tagli drastici necessari per ridurre il deficit in tempi rapidi. Dal momento che rifiutano di intervenire sulla spesa militare, dovranno sforbiciare lo stato sociale. Salve, elettori del Michigan e del Nevada: il nostro programma è tagliare o posticipare le pensioni per cui avete già pagato; pensiamo sia una buona idea abolire le esenzioni per gli anziani dal ticket! Ecco un modo per spazzare via il Tea Party.

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Tags Correlati: Ed Murrow | Elezioni | Fabio Galimberti | George W. Bush | Glenn Beck | Great Society | Lyndon Johnson | Obama | Pubblica Amministrazione | Stati Uniti d'America

 

Non sarà affatto facile. Obama non deve fare i conti con letture consapevoli della storia, deve fare i conti con la versione macabro-macchiettistica della medesima raccontata da gente come il commentatore radiofonico Glenn Beck. Deve fare i conti con la convinzione quasi religiosa che i tagli alle tasse siano il motore della crescita invece del fattore scatenante dei superdeficit. Deve fare i conti con un'opinione pubblica convinta che sia stato Obama, e non George W. Bush, a creare il programma Tarp per il salvataggio delle banche, che Obama sia musulmano e non cristiano, che Obama voglia marxistizzare l'America.

Contro questo contagio di follia paranoica, un'epidemia che viaggia sulle ali delle enormi somme riversate nella propaganda e degli ululati degli sbraitanti oratori radiofonici della destra, le virtù che hanno portato Obama alla Casa Bianca - misura e compostezza, fiducia nella retorica classica e nella forza della ragione, speranza di poter riconciliare gli opposti schieramenti - servono a poco. A volte questi sistemi di valori sono talmente distanti che è meglio scegliere la via del conflitto piuttosto che far finta di poterli risolvere senza strappi. Obama deve mettere da parte Platone e tirare fuori il Machiavelli che è in lui. E questo Machiavelli deve mostrarlo in pubblico. Se la Palin si inventa l'esistenza di death panels (presunti comitati incaricati di decidere se continuare a curarti o meno) nella sua riforma sanitaria, deve definire pubblicamente la Palin una bugiarda. Ai repubblicani che continuano a ripetere la panzana che sarà l'amministrazione pubblica a scegliere da quale medico devi farti curare, dovrebbe replicare, come Ed Murrow contro il maccartismo (che quest'epoca tanto ci ricorda): «Ma non avete nessuna decenza?».

Non deve aver paura di offendere, e di dire le parole che possono fare di lui, specialmente di fronte a un Congresso ostile, il difensore di tutti i milioni di Joe e Jane che hanno avuto la vita distrutta dall'esplosione della bolla finanziaria. Questo è il modo per sconfiggere le avversità; questo è il modo per tornare a essere l'Obama che tutti credevamo di conoscere.
Copyright The Financial Times Limited 2010.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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