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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2010 alle ore 10:22.
Il fenomeno della riduzione dei consumi nella "quarta settimana" del mese è stato a lungo sbandierato come un indicatore di povertà degli italiani, quando in realtà, prima della crisi, era prevalentemente una conseguenza di comportamenti fisiologici dei consumatori. È ragionevole infatti concentrare in un'unica spesa l'acquisto di beni di consumo quando lo stipendio appena ricevuto lo consente, accumulando scorte da smaltire prima del nuovo stipendio.
Nulla di strano quindi se, in tempi normali, le quantità acquistate risultano maggiori quando il conto corrente riprende fiato (tipicamente dopo il "27 del mese", ma non per tutti nella stessa data) e si riducono successivamente. Anche perché, dicono i dati, gli acquisti delle scorte a inizio mese si fanno nei grandi supermercati a prezzi inferiori, mentre in seguito si compra quel che eventualmente manca nei negozi di prossimità, in quantità giornaliere inferiori per via dei prezzi unitari più alti.
La caduta dei consumi lungo il mese diventa invece un fenomeno preoccupante quando riguarda beni deperibili, come frutta e verdura, e soprattutto quando si aggrava pesantemente a seguito di una riduzione dei redditi come quella causata dalla crisi recente. È quanto si evince dai dati Nielsen sui consumi giornalieri degli italiani, che ho analizzato insieme a Francesco Manaresi grazie a un finanziamento di Federdistribuzione (www.federdistribuzione.it/studi_ricerche/files). Rispetto al 2007, nel 2009 gli italiani hanno ridotto del 6% il loro consumo giornaliero medio di beni alimentari. L'entità di questa riduzione ammonta a circa 250 euro a testa in un anno al netto della variazione dei prezzi. Un vero e proprio taglio alle quantità acquistate che risulta ancora più evidente se consideriamo la frutta e la verdura fresche di cui lo studio misura direttamente i chilogrammi comprati: la caduta del consumo di questi prodotti è pari al 9%, ossia oltre 15 kg in meno a testa in un anno, che diventano 17 kg tra le famiglie più svantaggiate. Quindi un peggioramento qualitativo della nostra dieta, soprattutto tra i meno abbienti.
Ma ciò che colpisce è osservare che questa caduta dei consumi durante la crisi, rispetto al periodo precedente, non è distribuita in modo costante durante un mese intercorrente tra due date di percezione dello stipendio, essendo lieve all'inizio e molto marcata alla fine di questo periodo. E questo accade anche per prodotti come la frutta e la verdura che non possono essere accumulati in scorte. Mentre prima della crisi i consumi di frutta e verdura, al contrario degli altri, erano quasi costanti in ogni giorno del mese, durante la crisi iniziano a calare tra la prima e la quarta settimana. È una caduta pesante, pari al 6% tra inizio e fine periodo: nella prima settimana si acquistano poco più di 3 kg pro capite, nell'ultima meno di 2,8. Tra le famiglie più svantaggiate la caduta supera il 10 per cento. Questo fatto è difficile da spiegare come il risultato di un comportamento razionale dei consumatori. È ragionevole attendersi che una crisi come quella che ci ha colpiti riduca i consumi giornalieri di frutta e verdura, ma perché dovrebbe avere questo effetto quasi solo a fine mese e non subito dopo la percezione dello stipendio?