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Sulla liquidità la Fed rischia di sciogliersi

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2010 alle ore 10:21.

La Fed farà il suo secondo quantitative easing, ossia inonderà il mercato di liquidità, acquistando Treasury e probabilmente titoli legati ai mutui casa. Lo farà sebbene la cosa non sia affatto piaciuta ai ministri del G20. Lo farà perché gli Stati Uniti hanno bisogno di un dollaro debole e perché i mercati finanziari da due mesi s'aspettano questo. Nei giorni scorsi James Bullard (Fed di St.Louis) aveva invitato gli operatori alla cautela, dichiarando che la Fed non «ratifica quello che vogliono i mercati».

L'aveva detto non per mettere in forse l'operazione, ma per mitigare le attese degli investitori che s'aspettano liquidità a go go per far salire ancor più il valore di bond, azioni e materie prime. Il problema è semmai capire quanto grande sarà la nuova ondata di stimoli monetari. Sebbene pochi s'illudono che possa raggiungere i 1.500 miliardi di dollari della precedente operazione, le attese sono per una cifra che è circa la metà. In ogni caso i mercati parrebbero aver già scontato un importo vicino ai 500 miliardi e il nervosismo manifestato ieri da Wall Street, maturato in concomitanza a un indebolimento del dollaro, per la prima volta da due mesi a questa parte, confermerebbe che il gioco delle aspettative s'è già esaurito.

Dipendesse da Charles Evans (Fed di Chicago), 1.500 miliardi sarebbero pochi. Sciorinando la regola di Taylor, arriva alla conclusione che l'ottimale tasso di sconto reale dovrebbe essere del -4 per cento. Visto che sotto lo zero non si può andare, Evans suggerisce un'inflazione almeno al 3 per cento. Allaghiamo il mercato di liquidità, fa capire, e raggiungeremo l'obiettivo. Vinta la guerra alla deflazione, anche l'economia ripartirà.

Di queste conclusioni non è convinto Richard Fisher (Fed di Dallas). Nota che le riserve delle banche parcheggiate presso la Fed superano i mille miliardi, come raramente s'era visto in passato; che la liquidità delle società non finanziarie è al massimo degli ultimi 7 anni. Infine sottolinea come la quota di cash flow destinata agli investimenti di lungo periodo sia caduta al livello più basso degli ultimi 58 anni. Se con tutto questo denaro in circolazione e con tassi d'interesse così bassi l'economia non è ripartita come ci si aspettava (notare che la crescita del 3% del Pil Usa segnata tra giugno 2009 e giugno 2010 è avvenuta per il 61% grazie alla ricostituzione delle scorte), quale miracoloso effetto ci si dovrebbe attendere da una nuova abbondante iniezione di liquidità?

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Tags Correlati: Ben Bernanke | Bill Gross | Charles Evans | Fed | Inflazione | James Bullard | Jeremy Grantham | Richard Fisher | Stati Uniti d'America | Wall Street |

 

Ma ci sono altre considerazioni. Il quantitative easing alla Evans, nel tentativo di creare inflazione, di tenere bassi i tassi e i rendimenti obbligazionari, avrebbe l'effetto d'impoverire ancor più i già miseri ritorni del risparmio americano e di mettere in crisi il sistema pensionistico del paese. «I potenziali costi politici di una politica monetaria così accomodante finirebbero per soverchiare i benefici», conclude Fisher. Ma qualcosa di indesiderato è già avvenuto: i rendimenti dei Treasury decennali sono balzati di 35 centesimi nelle ultime settimane, un paradosso se si pensa che i promessi acquisti della Fed avrebbero dovuto farli scendere ulteriormente. Se davvero si vuole creare inflazione (magari al 4% come suggerisce Evans), perché mai un investitore dovrebbe comprare titoli di stato che rendono poco più del 2%? Al coro di critiche contro il quantitative easing si sono aggiunte in settimana i severi giudizi di Bill Gross di Pimco e di Jeremy Grantham di Gmo, due dei maggiori e più autorevoli investitori internazionali. Lapidario il commento di Gross: «Comunque vadano le cose, è la fine di un mercato "toro" (rialzista) dei titoli di stato che durava da 30 anni».

In ogni caso il quantitative easing si farà, anche perché in questa direzione preme il Tesoro americano, se non altro per beneficiare di un dollaro debole. Ma il dibattito all'interno del Fomc del 2-3 novembre si preannuncia assai serrato, visto che, oltre a Fisher, almeno altri 4 membri della Fed (Lacker, Kocherlakota, Plosser, Hoenig) hanno già manifestato perplessità o contrarietà all'operazione. Ben Bernanke sarà costretto a cercare una sorta di compromesso tra "falchi" (i contrari) e le "colombe" alla Evans che si giocherà essenzialmente sull'importo e sulle modalità dell'operazione (250 miliardi a trimestre secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal?).
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