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Il business più bello? È la beneficenza

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 14:51.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2010 alle ore 14:53.

Sono seduto su uno sgabello da bar. Dall'altra parte di un tavolo rotondo di metallo, il secondo uomo più ricco del mondo sorseggia una Diet Coke, mangia patatine fritte con le dita e mi spiega la storia del vaccino antipolio. Bill Gates sarebbe ancora l'uomo più ricco del mondo, se non continuasse a regalare i suoi soldi. Adesso, dopo aver donato 28 miliardi di dollari alla Bill & Melinda Gates Foundation - che finanzia cause umanitarie nel campo della salute, dello sviluppo e dell'istruzione - è rimasto con gli ultimi 54 miliardi di dollari.
Per un uomo che ha costruito un patrimonio così impressionante, Gates sembra avere gusti frugali. Ci incontriamo nel suo ufficio di Kirkland, un sobborgo di Seattle, e attraversiamo la strada fino al Beach Café all'interno del Woodmark, un elegante hotel del posto. Avvistiamo una cameriera e Gates ordina una clam chowder (la tipica zuppa di vongole americana, ndr) e un cheeseburger. Prendo anch'io un cheeseburger, con una salsa al granchio, e ci mettiamo a parlare della vita a Seattle. Mi racconta che guida ancora personalmente la macchina per la città. Incuriosito dalla sua mancanza di ostentazione, gli chiedo se ha degli hobby costosi. Non proprio, il suo gioco preferito è il bridge e «per quello basta un mazzo di carte». Allora è un asceta? Gates si schermisce: «No... Ho un bell'ufficio. Ho una bella casa... Non mi nego molte cose stupende. È solo che non ho un hobby costoso». A qualche chilometro di distanza, però, sorge la villa hi-tech di Gates, che si dice valga 125 milioni di dollari, completa di biblioteca con una citazione da Il grande Gatsby sul soffitto.

A detta di Gates, anche le origini di Microsoft non hanno molto a che vedere con il denaro. Fondò l'azienda nel 1975, dopo aver lasciato Harvard per dedicarsi alla sua passione per l'informatica. «Quando decisi di lanciarmi e creare Microsoft, non fu perché era una carriera lucrativa. Io e Paul Allen eravamo solo entusiasti del personal computer ed eravamo stupiti che nessuno ci stesse lavorando... Ci mettemmo al lavoro sui problemi più interessanti e assumemmo delle persone fantastiche... Abbiamo avuto il vantaggio di essere i primi». Per come lo racconta Gates, i soldi sono stati quasi una conseguenza incidentale: «A dire il vero, se sviluppi un buon software, fare affari non è così complicato... L'aspetto commerciale è abbastanza semplice; cerchi d'incassare più di quello che spendi».

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Gli chiedo della leggenda popolare secondo cui, negli anni 90, la spietata Microsoft avrebbe "schiacciato" con la sua efficienza la rivale Apple, anche se i fan di quest'ultima sostenevano che progettasse prodotti migliori. «Non ricordo che siano stati schiacciati – sbuffa Gates – non mi pare che sia mai successo. Compilavamo software per loro e, quando erano in difficoltà, chi è che investì in Apple per aiutarli? Beh, mi risulta che sia stata Microsoft», ride sdegnoso.

Alla fine degli anni 90 Gates, che aveva 45 anni, iniziò a cambiare direzione e, con essa, la sua immagine di duro, cominciando a incanalare il denaro verso la filantropia. «Penso che ci sia stato un anno in cui ho donato qualcosa come 16 miliardi di dollari». Fa una pausa, poi continua con insolita vaghezza: «Penso che fosse il 2000, forse addirittura 20 miliardi». Da allora ha continuato a elargire denaro e si è anche impegnato per convincere i colleghi miliardari - come Larry Ellison di Oracle, Ted Turner della Cnn e Michael Bloomberg, il sindaco di New York - a donare in beneficenza una parte consistente del loro patrimonio.
Nella famiglia di Gates c'è una forte tradizione umanitaria. La madre ora deceduta, Mary, era presidente della filiale di Seattle della United Way International, un'importante organizzazione di beneficenza. Anche suo padre Bill senior, che ora ha 84 anni, è un filantropo pieno d'energia, e attualmente sta promuovendo una campagna per aumentare le tasse sui ricchi nello stato di Washington. Soprattutto la moglie Melinda, che Gates conobbe in Microsoft e sposò nel 1994 (la coppia ha tre figli), si dedica con passione al lavoro della fondazione. Le targhe sulle pareti ribadiscono con fermezza che si tratta della "Bill & Melinda Gates Foundation".

Nel 2008, Gates è diventato presidente non esecutivo di Microsoft e ora dedica la maggior parte del suo tempo alla fondazione. Ma, racconta: «Lavoro lo stesso numero di ore che nel decennio prima della transizione». Fa una pausa. «Non lavoro tanto quanto lavoravo a venti e trent'anni, quando non facevo vacanze e non tornavo quasi mai a casa la sera. Era un vero fanatismo». In quegli anni, quando Warren Buffett - l'investitore miliardario che è ora suo amico intimo, socio a bridge e uno dei principali sostenitori della Gates Foundation - voleva conoscerlo, il patron di Microsoft inizialmente non riuscì a trovare tempo per lui nella sua fitta agenda. «Ero troppo impegnato; non avevo tempo per quel genere di cose». Allora, suggerisco, non aveva una vita sociale? Gates mi corregge: «No, socializzavo con i miei genitori la domenica sera, ma non andavo a conoscere nuove persone che si occupavano d'investimenti».
Forse Gates non lavorerà più come un fanatico, ma è chiaramente del tutto assorbito dalle sfide in campo medico che la sua fondazione sta raccogliendo - in particolare lo sforzo destinato a sviluppare nuovi vaccini per la malaria e l'Hiv e a debellare la poliomielite grazie alla vaccinazione. I momenti in cui sembra divertirsi di più sono quando discorre di scienza, e mentre parla, incrocia le braccia sul petto e si dondola lievemente avanti e indietro. Ma la sua conversazione è anche punteggiata di improvvisi scoppi di risa. Sogghigna mentre descrive l'ufficiale dell'esercito britannico che, in India, scoprì che la malaria veniva trasmessa dalle zanzare - «Pensi, il buon vecchio maggiore Ross se ne stava là seduto in India, senza un granché da fare, apparteneva all'esercito britannico e... capì, ehi, questa cosa non dipende dalle esalazioni delle paludi, ma dalle punture delle zanzare».

La passione per la scienza e per la tecnologia che è stata il motore di Microsoft viene ora convogliata nella ricerca orientata al progresso medico. Chiedo a Gates se vede qualche parallelo tra lo sviluppo del software e lo sviluppo dei vaccini. «Oh certo – risponde lui, bevendo un sorso di Coca – si tratta di sostenere delle persone intelligenti per risolvere un problema che consideri importante». La principale differenza, secondo lui è la pazienza che occorre. «Con il software si sa se una cosa è giusta o no in tre o quattro anni... ma molte delle iniziative in cui siamo impegnati attualmente hanno un orizzonte di 5-10 anni, per esempio il lavoro al vaccino contro la malaria».
Gates parla a lungo e con grande entusiasmo di tutte le varie strade intraprese nella ricerca di vaccini per l'Hiv e la malaria, pur non avendo alcuna formazione medica. Gli chiedo se si senta mai un pesce fuor d'acqua, a discutere degli ultimi sviluppi. Mi scocca uno sguardo leggermente incredulo e risponde: «No, perché ho letto tutto quello che dovevo e ho modo d'imparare tutto quello che voglio imparare. E ho occasione di passare del tempo con le persone che lavorano in questo campo e sono molto gentili con me, disposte a istruirmi. Quindi devo imparare molto sull'immunologia, che è un settore super-interessante», spiega, con un largo sorriso compiaciuto mentre dà un morso al suo cheeseburger.

Una caratteristica della fondazione che colpisce particolarmente è la misura in cui il suo lavoro si concentra al di fuori degli Stati Uniti, in particolare in Africa e in India. C'è un programma dedicato alla riforma dell'istruzione in America, ma la fetta più grossa del denaro viene destinata alla sanità e allo sviluppo nelle parti più povere del mondo. Gates spiega la decisione quasi come se fosse una questione di efficienza aziendale. «Vuoi migliorare più che puoi la vita umana, quasi in termini di risultato per dollaro, e la possibilità di riuscirci nei paesi poveri è più di cento volte superiore rispetto a una zona in cui la situazione di base è molto migliore».
Ma che ne pensa della lobby di persone che sostengono che gli aiuti stranieri siano inefficaci - e che Gates stia in realtà sprecando i suoi soldi? La sua risposta è ferma, anche se in tono pacato: «Beh, se i critici fossero seri, prenderebbero gli aiuti e inizierebbero a classificarli in categorie... Nessuno ha dato soldi a Mobutu in Zaire pensando che li stesse spendendo bene, ma quello era un calcolo da guerra fredda». D'altro canto, vi sono anche «dei successi nel campo degli aiuti che sono davvero incredibili». Comincia a enumerarli: «la rivoluzione verde, la riduzione del numero di morti di fame, la prevenzione della carestia... Tutto il miracolo della vaccinazione... I vaccini sono il principale strumento grazie al quale siamo scesi da 20 milioni di bambini morti ogni anno a poco più di otto milioni». Anticipando l'obiezione che questo causerà un'esplosione della popolazione e quindi acuirà la povertà, Gates afferma che la ricerca dimostra che le famiglie più sane con una minor mortalità infantile fanno meno figli. Quindi i suoi programmi di vaccinazione e di sviluppo stanno in realtà contribuendo a prevenire, e non a causare, l'esplosione della popolazione.

Inevitabilmente, Gates prende decisioni e finanzia progetti che hanno implicazioni politiche di ogni genere. Ma, a differenza di George Soros, ha evitato con cura di diventare una figura politicamente controversa.
Tuttavia, ho un piccolo assaggio delle sue posizioni politiche quando parliamo della velocità e dell'energia con cui si sta sviluppando la Cina e io suggerisco che tutto questo potrebbe spaventare un po'. La parola lo accende come una miccia: «Se t'importa solo della forza relativa degli Usa o del Regno Unito nel mondo, allora c'è da essere molto spaventati», commenta con una risata sarcastica. «Nel caso degli Usa, il 1945 è stato il nostro picco massimo, in termini relativi». Da allora, sottolinea Gates, altri paesi dall'Europa all'Asia hanno ricostruito e sono diventati più prosperi, ma «credo di non essere abbastanza nazionalista per vedere tutto in termini negativi». Al contrario, Gates è entusiasta dei contributi che una Cina più ricca potrebbe dare al mondo. «Penso sia un bene che gli scienziati cinesi lavorino a farmaci oncologici, perché se mio figlio avesse il cancro, non guarderei certo se sull'etichetta c'è scritto "made in China". E dobbiamo augurarci che si mettano a lavorare anche su alcuni di questi vaccini e sull'energia».

Ma Gates è anche preoccupato per l'ambiente, così gli chiedo se la rapida industrializzazione della Cina non sia la ricetta sicura per un disastro ambientale. Di nuovo, il suo impulso è quello di cercare una soluzione nella tecnologia: «Escludendo la possibilità di andare in guerra per questo problema, il modo migliore sarebbe trovare forme innovative per generare energia». È entusiasta dell'energia solare e nucleare, e prende in giro chi si lamenta dell'aumento del consumo energetico cinese - «Ma guarda un po', adesso questi cinesi usano una quantità di energia pro capite pari alla media mondiale, ma come osano?! Come è potuto accadere? Gli Usa ne utilizzano quattro volte la media, e i britannici il doppio. Ma adesso questi cinesi cercano di usarne la quantità media».
Scuote la testa fingendosi scandalizzato, e per la prima volta ho l'impressione di vedere Bill Gates a ruota libera - una miscela di energia, aggressività, humour e intelletto. Ma, proprio mentre si sta scaldando su questo argomento, arriva la nostra cameriera con il caffè. Gates ha declinato, ma io ho ordinato un espresso ristretto (dopo tutto, siamo a Seattle). Quando la cameriera si allontana e torniamo al tema scottante dei rapporti tra americani e cinesi, Gates parla più lentamente e in modo più cauto.
Bevo il mio caffè e chiedo il conto. Mentre estraggo la carta di credito, Gates ha un'aria leggermente divertita. «Sicuro di voler pagare lei? – chiede – Ho molti soldi».
Non ne dubito. Ma la regola prevede che sia il Ft a pagare il pranzo. Non vogliamo chiedere la carità di Bill Gates. Ci sono molti altri disposti ad accettarla.

(Traduzione di Lidia Filippone)
© FINANCIAL TIMES

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