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Soldi pubblici al cinema? Meglio di no

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 14:46.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2010 alle ore 14:48.

Le immagini non erano drammatiche come quelle del film Sciopero di Sergej Ejzenstejn (sì, quello della Corazzata Potemkin) ove, in omaggio alla teoria degli stimoli, la repressione della rivolta operaia viene alternata alle immagini di un mattatoio dove avviene lo sgozzamento di un bue. Però il colpo d'occhio della manifestazione di giovedì scorso dei 1.500 lavoratori del cinema sul tappeto rosso del Festival di Roma non era male. Niente scalinata e nessuna carrozzina con bambino che precipita, ma i toni erano lo stesso drammatici, i cartelloni colorati e le star compunte e appassionate. La protesta, come è noto, era rivolta ai tagli del governo all'industria dei sogni che, secondo il documento letto da Sergio Castellitto, ha messo il settore «con le spalle al muro».

Ma è giusto finanziare il cinema? La risposta è no, in primis per un principio di libertà: se lo stato decide cosa è meritevole di sussidio e cosa non lo è, inevitabilmente c'è il rischio di un'influenza politico-clientelare relativamente alle opere meritevoli di aiuto (anche Ejzentstejn ebbe i suoi problemi quando Stalin gli cancellò Que viva Mexico! e due episodi della trilogia su Ivan il Terribile). Tanto per andare sul concreto, senza l'incipit leghista qualcuno avrebbe finanziato l'inguardabile (e non guardato) film Barbarossa? Quand'anche le giurie di selezionatori sono animate da buone intenzioni, non ci azzeccano e creano sprechi enormi. Ad esempio, dei 59 film che hanno ricevuto 70 milioni nel 2008, a ottobre 2009 ancora 49 non erano riusciti a trovare nessuno che li distribuisse e quelli che sono stati proiettati hanno incassato meno in sala di quanto hanno ricevuto: se non è sperpero di risorse questo, cosa lo è?

Inoltre, allorché esistono fondi pubblici per la cultura, dovendo scegliere, è compito prioritario del governo salvare l'infrastruttura culturale del paese: prima vengono Pompei e i mosaici di Villa Armerina e poi Natale sulla Luna o anche Gomorra. Qui i keynesiani all'amatriciana direbbero: vabbè, però lo "stimolo" almeno incoraggia anche i privati, genera occupazione e quindi ha ricadute benefiche sull'economia. Peccato che non vi sia la benché minima correlazione storica tra numero di spettatori di film italiani o coprodotti ed entità delle sovvenzioni, ma per di più gli investimenti privati non soffrono quando mancano i pubblici. Nel 2009, ad esempio, anno in cui il Pil italiano è sceso del 5% e i soldi del governo sono diminuiti del 46,4%, le imprese private hanno investito in modo stabile (258 milioni invece di 259 del 2008). Incidentalmente, nel 2008 i contributi statali erano aumentati dell'11% sul 2007 e nel 2009 (anno in cui si sarebbero dovuti vedere gli effetti) la quota di spettatori di film italiani o coprodotti è crollata (dal 27,7 al 22,6%).

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Tags Correlati: Ivan il Terribile | Pil | Sergej Ejzenstejn | Sergio Castellitto |

 

Purtroppo quando l'offerta è superiore alla domanda o di qualità non sufficiente, la risposta è sempre quella: restringere gli accessi e imporre prezzi di monopolio o chiedere denaro dei contribuenti. A voi scegliere a chi premiare con la Palma d'oro dell'inefficienza.

adenicola@adamsmith.it

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