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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2010 alle ore 09:03.
Magistrati di governo. E di lotta. Almeno alla criminalità organizzata. Dal Csm alla prima linea delle procure. Anche quando decisioni di segno diverso erano comunque possibili. Per Bernardo Petralia, ma anche per Roberto Carrelli Palombi, l'esperienza al Consiglio superiore della magistratura è stata a termine. Come per molti certo. Ma poi, per loro, il "richiamo della foresta" è tornato a farsi sentire con forza. Tanto più irresistibile quando le procure, piccole e grandi, soprattutto al Sud, ma in parte anche al Nord si vanno svuotando.
Effetto uditori certo (che non possono più esservi destinati), ma, nel breve, anche dei pensionamenti anticipati (effetto Tfr) di centinaia di toghe. Risultato? Ancora 245 caselle da riempire e una situazione che potrebbe peggiorare. Procure scoperte per un quarto. E non delle minori: Palermo e Reggio Calabria, per esempio.
Così Petralia che era entrato in Csm da capo della procura di Sciacca ne esce destinato a soldato semplice, sostituto procuratore, destinato a Marsala. Dove a fare compagnia al capo procuratore, al momento c'è solo un sostituto su 8. E Carrelli Palombi ha accettato di tornare a Reggio Calabria. Scelte scomode? Può darsi. Ma anche esempi di una magistratura che rivendica sul campo il diritto a potere poi criticare le leggi e i progetti di riforma messi in campo dalla politica.
Perché questa è l'urgenza: tornare a lanciare qualche segnale forte. Anche da parte di magistrati con anzianità ed esperienza. Che adesso non ci stanno a passare per "nonni" che mandano al fronte solo i giovani. E che quando non è più possibile farlo si tirano comunque indietro. Dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pm come Giancarlo Caselli e Ilda Boccassini chiesero di scendere al Sud per affrontare il dilagare della mafia. Oggi l'emergenza non è quella (forse), ma la necessità è analoga.