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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 08:30.
Il direttore Gianni Riotta risponde ai lettori sul Sole24Ore in edicola
Gentile direttore, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, che conosce molto bene le altre economie, non può cadere in quella captatio benevolentiae nei confronti del mondo sindacale indicando come rimedio dei mali italiani la stabilizzazione dei precari. Le economie più efficienti e maggiormente competitive devono proprio ringraziare l'assenza del posto fisso e garantito a vita se sono ai vertici della produttività. Nel mondo del lavoro anglosassone, nell'industria così come nel mondo della scuola, chi non vale viene cacciato senza troppi complimenti, il suo contratto non viene semplicemente rinnovato eppure non ci sono problema di precariato. Si dice che ai tempi del monopolio Rai artisti come Cochi e Renato avevano il contratto rinnovato di settimana in settimana, eppure entrambi hanno potuto mettere su famiglia e farsi una carriera. Ci sono quasi 9 milioni di partite Iva in Italia. Chi sceglie di lavorare in questa maniera non ha alcuna tutela, alcuna certezza di un reddito costante, si tratta dell'apoteosi del precariato. Se il problema italiano fosse questo, i pazzi che decidono di fare gli imprenditori sarebbero poche migliaia.
Elio Melito
Caro Melito, come lei stesso scrive Draghi non parla come un no global: sostiene che non si debba "precarizzare" l'economia, perché con una base di lavoro che non matura mai – e pensiamo certo anche alle partite Iva – una società matura non si fonderà. Draghi sa che il mercato del lavoro deve essere flessibile, ma ci mette in guardia contro la precarietà infinita. Non un percorso di lavoro progressivo, ma una eterna minorità.
Le scuole d'Italia
Gentile direttore, sono preside di una scuola pubblica paritaria di Milano. Ho sempre stimato Il Sole 24 Ore, avendolo visto quotidianamente non solo in casa mia dall'età della ragione, sulla scrivania di mio padre, commercialista e giudice tributario, ma anche nell'ufficio della nostra legale rappresentante. Un giornale serio come questo non dovrebbe assolutamente uscire, in prima pagina, con l'espressione "scuole private", intendendo "scuole pubbliche paritarie". È unicamente questa l'espressione corretta, degna di un giornale che conosce la Legge 62/2000, per la quale il Sistema nazionale d'istruzione comprende solo scuole pubbliche, statali e paritarie. Le "scuole private" non ne fanno parte e rappresentano meno dell'1% delle scuole italiane. Se poi i genitori siano o no veramente liberi di usufruire del servizio delle scuole pubbliche, statali e paritarie, è un altro discorso: tale servizio pubblico dovrebbe essere garantito dallo stato, come realizzazione di uno dei diritti umani fondamentali. Ab ovo.