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Parole chiare e proposte vaghe

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2010 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2010 alle ore 06:39.

Il progetto politico di Gianfranco Fini va "oltre" il Pdl e Silvio Berlusconi. Mette la freccia e li sorpassa entrambi, dopo sedici anni sulla stessa corsia di viaggio. Ma per andare dove, in economia, e usando quale volante?
In questo caso, a dispetto della dirompente svolta politica, più che su un'automobile da corsa, la Terza repubblica futurista immaginata qualche settimana fa a Mirabello e confermata domenica a Bastia Umbra, pare essersi accomodata su un grande pullman dove circolano idee e richiami confortevoli e generici.


Di rivoluzionario c'è il riferimento alla «grande rivoluzione liberale che non si è mai realizzata se non in minima parte» e che Fli vuole riprendere. Incarnando un "moderatismo" europeo in salsa italiana in cui spicca un tatticismo millimetrico sui temi della politica economica.
Fini chiede gli stati generali sull'economia e sul lavoro, fa leva (e s'appoggia) sulle prime intese raggiunte tra le parti sociali al tavolo della competitività e della crescita, cita il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
Vuole un nuovo "patto sociale" (tra capitale e lavoro) che s'allinea al "patto generazionale" disegnato a Mirabello, un welfare delle opportunità e non solo delle garanzie, infila tra due virgole «fermo restando la sburocratizzazione della pubblica amministrazione» per chiedere appalti nella legalità e nella trasparenza.


Confortevole. Molte parole e concetti a specchio, dove si può riconoscere anche il moderato di centro-sinistra e (forse) anche di semplice sinistra, oltre naturalmente l'opposizione centrista di Pierferdinando Casini, già alleato di ferro nella maggioranza del secondo governo Berlusconi tra il 2001 e il 2005.
E così, ha spiegato Fini, «sarebbe illusorio garantire a tutti il posto fisso, magari nella Pa, ma il fatto che il lavoro sia flessibile e i contratti aperti non può significare la precarietà assoluta a vita natural durante».
Stop and go. Il ministro Maroni? «Non c'è dubbio che la l'azione del governo è stata positiva, ma è da elogiare soprattutto il ruolo delle forze dell'ordine». La riforma Gelmini per l'università? «Va nella giusta direzione, ma una riforma fatta senza denaro è inutile». La finanza? «Non va demonizzata, ma se prevale la ricchezza prodotta dalla finanza c'è sempre il rischio della speculazione».

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Tags Correlati: Bettino Ricasoli | Confindustria | Emma Marcegaglia | Gianfranco Fini | Governo | Mario Draghi | Mirabello | PDL | Pierferdinando Casini | Pubblica Amministrazione | Quintino Sella | Silvio Berlusconi

 


«Oltre il Pdl», ma non sbuca per ora un'idea forte, originale, né una proposta articolata. Il ceto medio «si sta impoverendo e fatica ad arrivare a fine mese», però che si fa, in concreto? La famiglia è ovviamente «centrale», ma il meccanismo del «quoziente» fiscale (richiamato a Mirabello) si mette in pista o no? E a proposito di fisco: visto che ritorna per l'ennesima volta il piano per una «fiscalità di vantaggio per il Sud che non danneggi il Nord» cosa si può fare - che non è stato fatto, e sempre in concreto - per farlo passare in Europa? La proposta di tassare al 25% le rendite finanziarie, definita due settimane fa «né di destra né di sinistra» è ancora valida? Grandi opere infrastrutturali: «basta l'illusione del facciamo tutto». Perfetto: quali le prime tre su cui puntare?
«Tenere sotto controllo la spesa pubblica è necessario», ha detto Fini, riconoscendo al ministro Tremonti e al governo di aver ben fronteggiato l'emergenza. Ma noi ora contestiamo la politica dei tagli lineari, ha aggiunto, perché questo è il modo per non scegliere fra tagli e investimenti. Bene, allora dove (e in che misura) si taglia e dove (e in che misura) s'investe, fermi restando i saldi di finanza pubblica?


Nuova agenda. E riforme. Tra il 1861 e il 1870, ha voluto ricordare Fini, la classe dirigente di allora diede vita a riforme che servivano all'Italia. «Nulla di paragonabile» a quanto si fa oggi. Vero, ma vedi il caso: governava allora la "destra storica", erano gli anni del ministro Quintino Sella (al cui tavolo lavora oggi Tremonti), della cosiddetta "politica della lésina", del risparmio "fino all'osso", e dell'odiata "tassa sul macinato" per raggiungere il pareggio di bilancio. Anni in cui Bettino Ricasoli varava le province e Urbano Rattazzi la soppressione degli enti ecclesiastici.
A torto o a ragione, nulla di confortevole e tutto molto dirompente.

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