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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 08:16.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2010 alle ore 06:39.
Come è difficile per chi è cresciuto nella mia generazione adattarsi a questa politica. A due anni dalle elezioni, dopo un biennio di totale immobilismo, con una recessione economica che non dà tregua, siamo di nuovo alla vigilia di una crisi di governo.
La stabilità non è mai stata il forte del sistema politico italiano, ma una volta le grandi scelte venivano fatte. Oggi assistiamo a una politica timorosa, che non sa guardare oltre il tornaconto elettorale suggerito da questo o quel sondaggio, e rinvia ogni decisione per non scontentare nessuno.
La politica al contrario dovrebbe essere l'arte di fare scelte, individuare delle priorità e perseguirle, anche se nel breve si scontenta qualcuno. Perché il bene ultimo, quello che conta, è la crescita della comunità tutta, è il bene dell'Italia.
È stato detto che oggi sono i numeri a fare la politica. Niente di più sbagliato. I numeri fanno la politica se la politica è così debole da non saper prendersi le proprie responsabilità. Una politica forte agisce e crea le condizioni perché i numeri cambino.
Con un gioco di parole forse un po' facile, viene da dire che una politica debole "dà" i numeri, mentre una politica con la P maiuscola "fa" i numeri.
Al ministro Tremonti ho più volte riconosciuto il merito di aver saputo tenere ferma la barra del rigore in un governo che altrimenti avrebbe portato allegramente il paese verso il default. Ma non ci si può nascondere dietro una presunta dittatura dei numeri per giustificare la rinuncia a una qualsivoglia iniziativa per superare la crisi. Per poi subire, fra l'altro, come è avvenuto nei giorni scorsi, per ragioni di puro tatticismo politico, l'inserimento in Finanziaria di misure fino a ieri respinte in nome proprio del rigore.
La cartina al tornasole dell'immobilismo di questo governo è stata la riforma fiscale. Nelle scorse settimane, dopo mesi di annunci, è partito il tavolo per quella che viene presentata come la "grande riforma". Ma ormai è tardi. La nave del governo affonda sotto i colpi di Gianfranco Fini e quei tecnici convocati al tavolo del fisco somigliano davvero all'orchestrina che suona sul ponte del Titanic.