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Perché Trichet non basta a salvare il credito della Ue

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2010 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2010 alle ore 06:39.

Jean-Claude Trichet meritava maggior tranquillità negli ultimi mesi della sua apprezzata presidenza della Bce e invece è sottoposto a pressioni da tutte le parti.

Molti lo invitano ad essere più aggressivo nella creazione di moneta e a prendere come modello la Fed; il ministro tedesco lo diffida indirettamente dal muoversi in quella direzione e accusa gli Stati Uniti d'inondare il mondo di liquidità e di manipolare il cambio del dollaro; il membro più autorevole del consiglio generale, Axel Weber (fra i candidati alla successione) rompendo il riserbo che accomuna i banchieri centrali ai monaci benedettini, ha criticato retrospettivamente gli acquisti di titoli effettuati dalla Bce prima dell'estate e sembra quindi richiedere una riduzione del sostegno già erogato.
Una simile varietà di posizioni trova spiegazione non solo nella difficoltà con cui i vari paesi escono dalla crisi, ma anche nelle specificità dei problemi europei. La decisione della Fed è clamorosa, forse necessaria come ritiene Martin Wolf (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) o addirittura troppo timida come sostiene Paul Krugman. Ma è anche una scommessa non priva di azzardo. Monetizzare un importo di debito pubblico che equivale a oltre la metà del deficit del 2011 amplierà sicuramente lo spazio per il debito privato, che negli Stati Uniti si finanzia per oltre il 60% sul mercato (nell'area dell'euro, solo per un quarto) e darà un'altra consistente boccata d'ossigeno ai profitti delle banche, ma i rischi che l'operazione comporta non sono affatto modesti. Non tanto per l'impatto sui prezzi al consumo (e infatti i rendimenti sui titoli indicizzati all'inflazione rimangono a livelli molto bassi) ma perché la crisi ha dimostrato che occorre guardare non solo ai prezzi dei beni, ma anche a quelli delle attività, reali e finanziarie. E con tassi d'interesse schiacciati sullo zero, si fa sempre più esasperata la ricerca di rendimenti accettabili e i prezzi di molte attività vengono spinti verso l'alto, spesso oltre i limiti della razionalità economica. Molti operatori già si chiedono se sia sostenibile il prezzo cui è arrivato l'oro (ma non essendoci un vero fondamentale sottostante, faticano a trovare una risposta); altri s'interrogano sulla sostenibilità dei prezzi di certi segmenti del mercato azionario (gli emergenti, ad esempio) o del debito sovrano.

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Tags Correlati: Bce | Borsa Valori | Credito alle imprese | Europa | Fed | Jean-Claude Trichet | Paul Krugman | Stati Membri

 

Ed è qui che si apre il solco che separa Bernanke da Trichet. Il secondo non è stato meno aggressivo del primo e ha risposto con mezzi eccezionali e irrituali all'emergenza della crisi, correndo gli stessi rischi di gonfiare altre bolle. Non a caso, l'ultimo bollettino della Bce ricostruisce puntigliosamente i mezzi messi in campo negli ultimi tre anni, che hanno portato la liquidità fornita al sistema bancario dai 400 miliardi di euro dei tempi precedenti la crisi a oltre 1.000 miliardi nei momenti di maggiore tensione, ai 700 di oggi. Il tutto ampliando considerevolmente la gamma dei titoli accettati a garanzia. Ed è stato irrituale ma necessaria ed efficace la decisione di acquistare titoli pubblici nella fase più acuta del debito dei paesi dell'Europa periferica, checché - direbbe Totò - ne pensino oggi autorità e ministri tedeschi.
I fatti degli ultimi mesi hanno dimostrato che la Bce si trova ad affrontare due problemi che riguardano l'Europa in modo particolare: le diverse prospettive di sostenibilità del debito di alcuni stati membri e - strettamente legato a questo - la robustezza delle banche dell'area. Grecia, Irlanda e Portogallo si sono trovati sull'orlo del burrone a causa degli eccessi pubblici e privati del passato e hanno iniziato un faticoso processo di risanamento. Nel momento dell'emergenza è stato provvidenziale che la Bce si ponesse come acquirente di ultima istanza dei titoli dei paesi membri; nella fase di rientro, un ulteriore sostegno avrebbe il sapore del salvataggio e risulterebbe politicamente inaccettabile, non solo ai severi (e spesso miopi) occhi tedeschi. Se si voleva aiutare sotto questo profilo la Bce, sarebbe stato meglio accettare la riforma del patto di stabilità e crescita con la rigidità e gli automatismi caldeggiati a Francoforte, anziché preferire una soluzione che lascia margini di discrezionalità ai governi nazionali, a scapito dei poteri della commissione europea.


A questo si aggiunge il fatto che le banche dell'area, come dimostrano i risultati del terzo trimestre pubblicati in questi giorni, non scoppiano di salute e questo vale soprattutto per le banche tedesche (e francesi) che sono più esposte verso i paesi europei più fragili. Ma anche in questo caso, stendere la mano caritatevole della banca centrale oltre i limiti eccezionali già raggiunti appare politicamente impossibile. Ma c'è di più: Trichet ha ribadito nel corso della conferenza stampa del 4 novembre che esistono banche "drogate" che hanno bisogno di iniezioni non fisiologiche di liquidità. È la prova provata che la Bce ha fatto tutto il possibile, spingendo al limite estremo le sue capacità operative, ma al tempo stesso anche del fatto che ormai la banca centrale ha esaurito i suoi gradi di libertà: non può andare oltre, ma neppure arretrare. L'uscita dalla crisi dipende ormai dalla politica europea (e in misura non secondaria dalle autorità nazionali di vigilanza) ed è proprio per questo che non è facile essere ottimisti.

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