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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2010 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 12 novembre 2010 alle ore 06:39.
Il direttore Gianni Riotta risponde ai lettori sul Sole 24 Ore in edicola.
Gentile direttore, condivido lo stupendo titolo di ieri del giornale: «La battaglia di Seul» perché da tempo penso che le guerre mondiali moderne sono e saranno solo finanziarie, valutarie e commerciali. Complimenti ai giornalisti del Sole che è veramente uno strumento di formazione e di crescita culturale.
Luigi Barbera
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Caro Barbera, a Seul si gioca solo una delle prime scaramucce del grande scontro che animerà la prima parte del XXI secolo. La crisi finanziaria ha rilanciato con forza India, Cina e Brasile, con la Russia che caracolla anche sperando di vendere gas e petrolio, se non all'Europa alla Cina. Ho preso parte al Centro Alti Studi della Difesa, una delle eccellenze del nostro paese frequentato da molti ufficiali superiori stranieri, a un seminario cui ha presenziato l'ambasciatore americano Thorne. Il contenuto del dibattito di studi è riservato, ma non svelo alcun segreto se dico che nei capannelli all'intervallo caffé non pochi generali ragionavano di manovre militari cinesi nell'Oceano Indiano. Al G20, semiparalizzato come ogni negoziato sul clima o sui commerci, come l'Onu con l'obsoleto Consiglio di Sicurezza (Obama chiede adesso un posto per l'India: e la Germania? il Brasile? il Sud Africa? La nostra Italia per cui tanto si battè l'ambasciatore Fulci?) poco si farà. I cinesi proveranno ad alzare una Grande Muraglia contro le manovre della Federal Reserve di Bernanke, ma se lei ha letto il fondo di Wolf sul Sole sa già che il problema non è quello. Euro, dollaro, renmimbi, sterlina potranno giostrare secondo l'estro dei governi, ma la realtà non cambia. Gli Usa hanno ancora il lead militare ma la Cina insegue. Lo Zio Sam non potrà tenere il vantaggio se non si dà una forte regolata fiscale, ma con i Tea Party anti-tasse sarà dura. Noi europei invecchiamo a vista d'occhio - i dati presentati dal professor Goldstone (intervistato da Federico Fubini per il Corriere della Sera), dal presidente dell'Istat Giovannini e da Bill Emmott (il suo saggio sulla Stampa di ieri, tutti gli atti su info@convegnonardini.org) a Bassano dalla Fondazione Nardini fan paura - e siamo un club per anziani benestanti, diffidente di emigranti e soci turchi. Voci di protezionismo si leveranno ogni giorno da più parti, ma avrebbero lo stesso effetto che ebbero dopo la crisi 1929, rimedio peggiore del male. Occorre un ripensamento serio, ma lei vede qualcuno, oltre a questo giornale (che per il suo impegno globale viene spesso osteggiato dai fan di "strapaese") che provi a dare alle aziende la dimensione reale dei problemi? In tanti battono, furbi, la mano sulla spalla a imprenditori e professionisti come dire «tutto va bene, a che serve fare i gufi, sorridiamo e passa la paura». Non è così: la paura passa se la nostra economia ha chiaro il mondo del presente, i suoi rischi e le sue opportunità. Da Seul G20 avremo dunque solo ancora un passaggio di consegne: la vera partita deve ancora cominciare, ma con noi la seguirà in prima linea.