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Irlanda solida ma punita

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2010 alle ore 06:39.


I compiti li aveva fatti bene, e tutti. È stata, e continua a essere sonoramente bocciata. L'Irlanda è un caso davvero emblematico, nel panorama del dopo crisi: sana e competitiva nell'economia reale, anche se profondamente ferita, convince oggi i mercati persino meno del debole Portogallo.
Il paese era stato chiamato la "tigre celtica", negli anni scorsi. Aveva completamente riformato la sua struttura economica, offrendo agli investitori stranieri lavoratori istruiti, imposte basse, un ambiente molto propizio alle imprese, con il risultato di una crescita impetuosa. Ancora oggi l'Irlanda è quinta al mondo e prima in Europa nella classifica 2010 della Heritage Foundation sulla libertà economica, un concetto che non coincide necessariamente con la presenza di concorrenza e l'assenza di barriere all'entrata - i veri motori della crescita, malgrado qualche teoria tenti, contro l'evidenza empirica, di mostrare il contrario - ma che testimonia come l'Irlanda possa essere considerata come un campione di una certa politica economica. Il più ufficiale rapporto «Doing business» della Banca mondiale, sulla facilità di fare impresa, pone ancora oggi il paese al nono posto al mondo (la Germania è al 22°, l'Italia all'80°).
Martellata dalla crisi l'Irlanda è però crollata miseramente. È stata travolta dalle turbolenze creditizie e ora, per risanare le sue banche, nazionalizzate, deve affrontare un piano di austerità durissimo. Cosa è successo? La storia di sempre. Il collasso non era previsto: «Le performance economiche restano molto forti, sostenute da politiche sane», notava a settembre 2007 il Fondo monetario internazionale, che pure già riconosceva quegli squilibri che hanno poi reso irrimediabilmente vulnerabile l'economia: i debiti delle famiglie erano già pari al 160% dei redditi, e le banche - la maggiore delle quali era pubblica - avevano concesso crediti alle aziende di costruzioni e all'attività immobiliari pari al 47% del Pil.
Era però inadeguato il costo del credito: la Banca centrale europea, naturalmente interessata alle condizioni di tutta l'area, ha costantemente tenuto il costo del credito al di sotto dell'inflazione irlandese fino all'agosto del 2006, e solo i crescenti surplus di un bilancio pubblico più che sano hanno tenuto relativamente sotto controllo l'inflazione, in ogni caso più alta della media di Eurolandia. I tassi reali negativi non hanno potuto che alimentare l'attività preferita, quasi proverbiale, delle famiglie irlandesi: l'acquisto di case. Qualcuno, anche la Banca centrale di Dublino, aveva lanciato un allarme bolla, ma pochi si sono preoccupati.

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Tags Correlati: Angela Merkel | Banca Mondiale | Bce | Bilancia commerciale | Dell | Europa | Fmi | Heritage Foundation | Marco Annunziata

 

Dopo il tracollo, il paese ha però conservato i suoi fondamentali in ordine. È tornato a crescere, sia pure con qualche esitazione, e l'export sembra vivace. Sono di nuovo attraenti anche quei fattori che nel recente passato avevano spaventato qualche multinazionale come la Dell, che ha chiuso i suoi impianti per il rialzo dei salari, sospinti dall'aumento degli stipendi pubblici.
Ai mercati però tutto questo non sembra interessare: importa solo, ed è difficile dar loro torto, quella massa di debiti privati che - semplificando molto - sono diventati pubblici. Ora però, anticipando eventi che non sono certi come la bocciatura del piano fiscale a dicembre, l'eventualità di nuove elezioni, un default e un salvataggio dell'Fmi, gli investitori stanno creando una situazione che, da sola, potrebbe rendere vere queste profezie: i rendimenti, e quindi il costo del debito, aumentano sempre di più, riducendo la sostenibilità dei piani di rientro - pur rigorosi - di Dublino.
È un caso particolare, estremo, della prociclicità dei mercati finanziari, la tendenza a esasperare le situazioni, che le politiche del dopocrisi non hanno intaccato. Non avrebbero potuto farlo, in così breve tempo, perché il fenomeno coinvolge la struttura profonda del settore finanziario e delle sue aziende (ma anche quella di alcuni interventi pubblici, come quelli monetari); ed è in parte ineludibile: l'incertenza, quella che non si fa dominare dal calcolo delle probabilità, è qui imperatrice.
La politica si è dimostrata anzi del tutto inadeguata e, nella totale incapacità di capire i mercati e l'economia, ha preso la strada sbagliata. Come per un riflesso condizionato, le proposte dei governi sono andate nella solita direzione, il tentativo vano di «imbrigliare la speculazione», che ottiene da sempre i risultati opposti. Le insistenze tedesche sulla necessità di coinvolgere, in modi peraltro non ancora chiari, gli investitori privati nel futuro meccanismo di salvataggio - sia pure "per le nuove emissioni" - stanno ora innervosendo i mercati. «Sono una mescolanza d'irresponsabilità suicida e incoerenza comica che lascia senza fiato», ha scritto ieri Marco Annunziata, chief economist di UniCredit.
Le recenti dichiarazioni del cancelliere Angela Merkel hanno spinto ulteriormente verso l'alto i rendimenti di tutti i paesi periferici, rendendo più probabile un salvataggio dell'Irlanda a carico dei contribuenti europei. Esattamente quello che si voleva evitare.
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I FONDAMENTALI DELL'IRLANDA
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IN RIPRESA Dopo una grave crisi l'economia è in ripresa, sia pure altalenante: per il 2011 l'Fmi prevede un +2,3%
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IL DEBITO Sul piano finanziario, l'esposizione pubblica sfiora il 100% del Pil mentre il deficit va verso il 32 per cento
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IMPOSTE BASSE Due sole aliquote per le persone fisiche, 20 e 41 per cento Una per le aziende e pari al 12,5 per cento
u
LA COMPETITIVITÀ Il settore dell'export sta trainando il paese: la struttura produttiva ha resistito bene al calo della domanda estera

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