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Le banche Ue «scaricano» i Pigs

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2010 alle ore 09:20.

«Io non potrei comprare titoli di stato greci o irlandesi neppure se volessi, perché la politica della mia banca è di ridurre al minimo l'esposizione verso quei paesi». Il responsabile della sala operativa di un grande istituto di credito va subito al punto: le banche, da oltre un anno, stanno letteralmente fuggendo dai paesi rischiosi. In 12 mesi (secondo i dati della Bri) gli istituti europei e americani hanno infatti ridotto del 43% l'esposizione verso la Grecia, del 23% verso l'Irlanda, del 21% verso la Spagna e dell'11% verso il Portogallo. E si parla di soldi: in totale le banche hanno "scaricato" circa 500 miliardi di dollari (366 miliardi di euro) di titoli di stato dei paesi Pigs.

Per contro gli istituti di credito stanno accumulando i titoli di stato dei propri paesi: si pensi che in 12 mesi – calcola Institutional Risk Analytics – le 25 maggiori holding bancarie Usa hanno aumentato i Treasury in bilancio del 253%, a 138 miliardi di dollari. Lo stesso fanno gli italiani con i BTp e i tedeschi con i Bund. Il loro obiettivo è di ridurre i rischi. E questo è un bene. Però anche questa strategia prudente rischia di diventare un boomerang. Se da un lato è tranquillizzante che gli istituti si stiano disimpegnando dai paesi deboli, dall'altro è meno rassicurante sapere che si abbuffino di titoli di stato: quando l'economia ripartirà e i tassi saliranno, questa montagna di bond produrrà infatti perdite in bilancio. È anche per questo che le banche europee hanno perso in borsa il 9% da settembre: il mercato teme che, abbandonando i bond greci a favore di quelli domestici, siano passate dalla padella alla brace.

Bond dei paesi tuoi. Che le banche stiano finanziando solo i paesi d'origine e stiano "tagliando" il credito agli stati esteri è evidente incrociando i dati Bri (aggiornati a giugno) e quelli Bce (a settembre). Da un lato il peso dei titoli di stato sta aumentando velocemente nei bilanci bancari: in Portogallo un anno fa i debiti pubblici rappresentavano l'1% circa degli attivi totali delle banche, mentre ora la percentuale è salita al 5%. In un anno, insomma, l'investimento in titoli di stato si è quintuplicato in rapporto agli attivi, tornando al massimo dagli anni '90. Forte anche l'aumento in Germania, in Spagna e in Italia.

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Tags Correlati: Bce | Borsa Valori | Bri | Germania | Grecia | Institutional Risk Analytics | Irlanda | Mediobanca | Pigs | Portogallo | Silvio Peruzzo | Spagna | Titoli di Stato |

 

Per contro, testimoniano Bri e Bce, le banche stanno riducendo i titoli di stato di Grecia, Portogallo e Spagna, ma più in generale di tutti i paesi esteri: le banche tedesche hanno per esempio aumentato del 21% il totale dei titoli di stato in portafoglio (53 miliardi di euro in più da settembre 2009 a settembre 2010), ma contemporaneamente hanno venduto 214 miliardi di euro di bond dei paesi europei (esclusa la Germania). Le banche tedesche, insomma, hanno comprato Bund locali e venduto il resto. Idem quelle italiane: aumentano i titoli di stato (+13% in un anno, cioè 30 miliardi di euro in più) e vendono i titoli degli altri stati europei (78 miliardi di euro in meno). E lo stesso discorso vale per tutti, americani inclusi: ogni banca finanzia il proprio stato e "taglia" il credito agli altri. Il mercato dei bond si deglobalizza.
Questo lega sempre più le sorti del mondo del credito a quelle del proprio stato. I governi prima hanno salvato le banche e ora queste stanno sostenendo gli stati comprando titoli di stato. Ed è curiosa la coincidenza di cifre: secondo R&S Mediobanca i governi dell'area euro hanno speso (o garantito) circa 1.500 miliardi di euro per salvare gli istituti di credito, e questi oggi – stima la Bce – hanno in portafoglio titoli di stato proprio per 1.500 miliardi. Praticamente è stata una partita di giro.

Le due facce della medaglia. Molte le possibili conseguenze di questa "deglobalizzazione". Da un lato si riduce la dipendenza di molti governi dagli investitori esteri. E questo è un bene. «Ci sono Paesi, come l'Irlanda o la Grecia, che hanno il 75% del proprio debito pubblico in mano a investitori non locali – spiega Silvio Peruzzo, economista di Rbs –. Questo li espone a maggiori turbolenze sui mercati. Per loro, quindi, ridurre la dipendenza da fondi e banche estere è auspicabile». In fondo, è positivo anche per le stesse banche, perché limitano i danni della bufera irlandese o greca.
Ma ogni medaglia ha due facce. Da mesi molti gestori di fondi stanno riducendo i titoli di stato in portafoglio (anche i tranquilli Bund e T-Bond), perché presto o tardi i rendimenti saliranno e questi titoli produrranno perdite per chi li detiene. Invece le banche li accumulano. Il rischio è dunque che quando i rendimenti dei bond torneranno a salire, i bilanci bancari finiscano sotto pressione. E questo potrebbe avere nuovamente un effetto restrittivo sul credito. Già oggi – calcola Mediobanca – gli impieghi delle banche europee sono leggermente più bassi di quelli di fine 2008. E secondo i dati di Dealogic, i prestiti sindacati alle imprese sono nel 2010 meno della metà di quelli erogati negli anni pre-crisi. Ci manca solo una nuova frenata a causa dei titoli di stato...

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