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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2010 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2010 alle ore 09:14.
Uomo famoso e potente accusato di stupro da donna sconosciuta. Il riflesso pavloviano prevede la presunzione di colpa per l'uomo. Che si chiami Mike Tyson, Kobe Bryant, Roman Polanski. È un'equazione mediatica, che parte da fattori "certi" (l'arroganza del denaro, la sopraffazione psicologica) verso un esito "esatto" (la violenza operata dal più forte sul più debole). I media però conoscono a volte matematiche diverse. Quella che vale per Julian Assange, accusato di stupro da due ex collaboratrici, è pre-euclidea. Prevede fattori incerti ed esiti ignoti.
Assange è l'uomo che ha divulgato i file coperti su Afghanistan e Iraq, è il paladino della informazione dell'era 2.0, l'uomo solo contro i poteri forti (Pentagono, Casa Bianca, Multinazionali, Spectre, Diabolik). Dunque, la presunzione di colpevolezza si ribalta. L'indiziato di stupro diventa sui media mondiali la vittima di una macchinazione dei poteri occulti. E il fatto che si dichiari preoccupato per la propria incolumità non fa che rafforzare la teoria del complotto. Sullo stupro vero o presunto ci sarà un'inchiesta. Intanto abbiamo scoperto che nella strana matematica mediatica la somma dei fattori non dà sempre lo stesso risultato.