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La democrazia? È l'arte di darsi addosso

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2010 alle ore 15:55.
L'ultima modifica è del 21 novembre 2010 alle ore 15:55.

In una democrazia l'esistenza di pareri opposti sulle scelte politiche è non solo un dato di fatto, ma anche una situazione auspicabile. Se una opposizione non si manifestasse da sé, occorrerebbe sollecitarla.
Numerosi meccanismi possono tuttavia impedire che la facoltà di critica venga esercitata appieno. Ne indicherò qui uno solo: il conformismo. È noto da tempo agli psicologi sociali che gli individui desiderano essere considerati favorevolmente dagli altri. Essere stimati e approvati dagli altri produce, fra l'altro, un'immagine gratificante di sé. Se percepiscono che, in un dato ambiente sociale, le opinioni vanno in una certa direzione, orientano le proprie posizioni nel senso dominante per suscitare l'approvazione dei pari. Si astengono dall'esprimere punti di vista dissidenti o critici. In questo modo, per quanto libera, la critica è alla mercé di una forza potente che fa di tutto per marginalizzarla se non soffocarla.

Gli studi sul traffico di Internet suggeriscono che i contatti e i legami vengono stabiliti per affinità ideologiche di tipo politico. I blog e i forum progressisti hanno rapporti con altri blog o forum progressisti, ma non con blog e forum conservatori, e viceversa. In ciascuna di queste molteplici isole o reti di individui che condividono un'opinione si possono prevedere effetti di rinforzo e di polarizzazione, dal momento che lo scambio con individui che la pensano allo stesso modo produce in generale una radicalizzazione delle opinioni dei partecipanti nella direzione comune ai membri del gruppo.
Cosa fare dunque per favorire il confronto tra argomenti opposti nelle democrazie contemporanee? Vorrei suggerire due modi concreti. Il primo corrisponde a una pratica da inventare, al di fuori dei periodi elettorali; il secondo consiste nel rafforzare una pratica già utilizzata nelle campagne elettorali.
Al di fuori dei periodi elettorali, si potrebbe immaginare che attori della società civile ( fondazioni, think tanks, associazioni) organizzino dibattiti basati sul contraddittorio su temi di interesse pubblico. Dibattiti che si dovrebbero svolgere solo nel momento in cui una questione susciti un interesse significativo nell'opinione pubblica (il nucleare, il suicidio assistito o, in alcuni Paesi, il velo islamico), oppure nel caso in cui un numero ingente di cittadini si attivi in favore di una causa.

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Tags Correlati: Bernard Manin | Giustizia

 

I relatori invitati al contraddittorio dovrebbero essere rappresentanti di associazioni e movimenti militanti, esperti o personalità di riconosciuta autorevolezza. Avrebbero il compito di illustrare e sostenere in maniera argomentata le posizioni politiche contrapposte circa il problema in discussione. Il pubblico presente potrebbe interrogare i relatori e criticarne le posizioni. Tali dibattiti sarebbero messi online, dando luogo a forum di discussione sui siti delle istituzioni organizzatrici.
Nel corso delle campagne elettorali, i dibattiti televisivi che propongono il contraddittorio fra i leader dei partiti e delle coalizioni in lizza apportano, a mio avviso, un reale contributo alla deliberazione politica di massa. In generale riscuotono un grande successo in termini di audience. Si tratta dunque di una delle rare occasioni in cui masse di cittadini pensano allo stesso oggetto nello stesso momento, e sono consapevoli di essere uniti dalla comune attenzione per la stessa cosa.

Questa coordinazione di tempo e oggetto rende inoltre possibile, anzi suscita, le conversazioni nei luoghi della vita quotidiana, nei caffè come negli incontri fra amici.
È vero che i dibattiti basati sul contraddittorio nei media sono spesso poco argomentativi e poco informativi. Ma non è difficile impostarli in modo tale che i protagonisti siano portati ad avanzare argomenti pro e contra.
L'esperienza mostra che i leader plebiscitari non amano molto il contraddittorio. I dibattiti elettorali basati su tale principio non sono certo una novità. Eppure non sempre e non ovunque hanno luogo. A volte i leader rifiutano di parteciparvi. Per questo motivo non è inutile sostenere la validità del principio, allo scopo di promuovere nei cittadini una cultura del contraddittorio che penalizzi in termini di reputazione e di credito i leader che si sottraggono alla prova del dibattito con i loro oppositori.

* Bernard Manin è politologo e docente presso la New York University e l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi

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