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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2010 alle ore 15:56.
L'ultima modifica è del 21 novembre 2010 alle ore 15:56.
Quando pensiamo all'Asia pensiamo all'economia, non alla guerra. Quando si parla di Tigri asiatiche si fa riferimento a quei paesi che in meno di una generazione si sono trasformati in potenze ammirate e temute. Non per la loro forza militare, quanto per il loro potere economico. La crisi attuale ha confermato questa percezione: mentre molte delle più avanzate economie soffrono, quelle asiatiche crescono.
Ma la ricchezza non è l'unica a crescere in Asia. Si intensificano anche i venti di guerra. È risaputo che la guerra in Afghanistan è il più lungo conflitto della storia moderna. E che nell'ultimo decennio India e Pakistan hanno già vissuto due crisi militari che solo grazie al deciso intervento di paesi terzi non si sono trasformate in guerra aperta. L'India ha sviluppato una dottrina militare che, invece di avere come unica priorità la difesa territoriale, si pone come obiettivo anche quello di rispondere con attacchi veloci e precisi contro i gruppi terroristici in qualunque area appartenente al suo vicino nel caso di un attentato proveniente dal Pakistan.
La sfida di questa dottrina - di cui l'India nega l'esistenza - è evitare che gli attacchi provochino una risposta nucleare pakistana, il che obbligherebbe New Delhi a contrattaccare allo stesso modo. Si parla quindi della possibilità di scatenare un conflitto nucleare tra due paesi molto poveri dove vive un quinto della popolazione mondiale. India e Pakistan non sono le uniche potenze nucleari asiatiche, anche Cina e Corea fanno parte del club. Il problema della nuclearizzazione asiatica non consiste soltanto nel rischio che le armi atomiche vengano utilizzate nei conflitti regionali, quanto nella tendenza a esportare le tecnologie. Pakistan e Corea del nord si sono dimostrati più che disponibili a vendere bombe al miglior offerente. La Corea del Nord dispone di milioni di soldati armati e centinaia di missili puntati su Seul e altre grandi città. Soltanto pochi mesi fa, una nave da guerra sudcoreana è stata affondata da un missile nordcoreano.
Come dice Joshua Keating, i mari asiatici sembrerebbero avere tante piccole isole la cui sovranità è rivendicata da paesi diversi. La Corea del Sud si contende con il Giappone le Dodko, il Giappone chiede alla Russia le Curili. Cina e Vietnam litigano per le Paracel (dove nel '74 le forze navali dei due paesi si affrontarono a colpi di cannonate). Le Spratly sono rivendicate da Cina, Filippine, Vietnam, Malesia, Indonesia e Brunei. Nel '98 navi della marina cinese e giapponese lottarono per il controllo di una di queste piccole isole, con un bilancio di 70 morti. Recentemente, la collisione tra una petroliera giapponese e un peschereccio cinese in acque contese ha provocato la pesante ritorsione economica di Pechino. Sono poi infinite le controversie territoriali tra paesi confinanti. I conflitti armati all'interno dei paesi stessi sono ancora più frequenti e mortali. In Sri Lanka si è appena conclusa una guerra civile durata 26 anni tra le tigri tamil (che hanno fatto del terrorismo suicida una moda) e le forze governative, causando centinaia di migliaia di morti. Timor Est, Filippine, Thailandia, Indonesia, Bangladesh, Nepal, Myanmar o Tibet sono soltanto alcune delle "zone calde" dell'Asia, dove il conflitto armato è una realtà quotidiana, o è latente e rischia di scoppiare da un momento all'altro. L'Asia è in testa alla lista delle regioni importatrici di armi: tra 2002 e 2009 sei dei dieci principali compratori di armi furono paesi asiatici (Cina, India, Taiwan, Corea del sud, Pakistan e Singapore).