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Commenti e Inchieste

L'american dream interrotto

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2010 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 22 novembre 2010 alle ore 08:52.

Un numero consistente di americani, se non la maggior parte, ha avuto la percezione che la crisi del 2008, fautrice di una crescita rallentata, dell'aumento della disoccupazione e di un elevato livello di ansia tra gli elettori, sia saltata fuori dal nulla. In realtà, la gran parte degli "addetti ai lavori" non è riuscita a individuare il rischio crescente. La crisi ha, infatti, radici profonde.

Per ripristinare l'equilibrio ed eliminare le distorsioni ci vorrà molto tempo e serviranno investimenti oltre a un cambio strutturale. Non solo, questi due elementi dovrebbero diventare gli obiettivi principali della politica economica americana. In questo contesto, il mercato interno risulta di particolare importanza. Se, infatti, il problema fosse limitato a un eccesso di indebitamento e di rischio all'interno del settore finanziario, lo shock economico sarebbe stato ugualmente ampio, ma la ripresa sarebbe stata più rapida. Ad abbattere l'economia reale è stata invece l'enorme perdita del valore netto della produzione interna (insieme alla stretta creditizia sulle aziende minori).

Un tasso di risparmio elevato e una forte riduzione dei consumi rispetto ai livelli precedenti la crisi tenderanno indubbiamente a permanere anche in seguito alla riduzione dell'indebitamento del settore domestico e del ripristino dei risparmi pensionistici; un procedimento che, negli Usa, ha portato all'eliminazione di circa un trilione di dollari dalla domanda di mercato. Per coprire la differenza, gli americani dovranno competere in modo efficiente all'interno di una porzione consistente della domanda globale.

Ciò significa che gli Usa si sono lanciati verso una nuova direzione invece di tornare alle condizioni pre-crisi? Ebbene sì. Fondamentalmente, gli americani hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità per troppo tempo. Attraverso il finanziamento di un deficit commerciale sempre maggiore tramite prestiti stranieri, l'economia statunitense ha speso in totale più di quello che ha guadagnato, il che ha, da un lato provocato, e dall'altro nascosto, enormi problemi strutturali.

Pertanto, la più importante sfida post-crisi non è tanto tornare alle condizioni precedenti, non più sostenibili, e neppure assicurare una ripresa dalla profonda "recessione da balance-sheet", bensì creare una transizione strutturale dalle vecchie condizioni anomale a nuove condizioni normali e sostenibili.

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Tags Correlati: Federal Reserve | Fmi | Mercato del lavoro | Pubblica Amministrazione | Stati Uniti d'America

 

Ciò non significa che il ripristino del bilancio del settore domestico debba essere ignorato nel periodo post-crisi. La Federal Reserve ha dovuto implementare un piano d'azione difficile per ristabilire l'equilibrio: senza alcun segnale di inflazione, e con il rischio di deflazione, è riuscita a mantenere tassi di interesse bassi anche quando le condizioni di credito si sono allentate. Non si tratta di una strategia di crescita, bensì di un tentativo di limitare il rischio di una nuova importante flessione indotta da nuovi danni al bilancio del settore immobiliare.

Tassi di interesse bassi accompagnati da un alleggerimento quantitativo stanno provocando importanti distorsioni a livello globale, parallelamente al flusso dei fondi nei mercati emergenti in rapida crescita, aumentando in tal modo la pressione inflazionistica e le bolle speculative. D'altra parte, vista la fragilità del mercato immobiliare statunitense, un aumento dei tassi di interesse potrebbe provocare un crollo dei prezzi che porterebbe a un nuovo ribasso dell'economia. Nonostante le lamentele, non è ancora chiaro se le economie emergenti preferirebbero una nuova recessione negli Usa all'attuale flusso diretto di capitali che si trovano a dover gestire.

Allo stato attuale, gli americani potrebbero dover convivere per diverso tempo con consumi inadeguati e un tasso di disoccupazione elevato. Lo stimolo fiscale è stato un importante elemento di aiuto durante la crisi, sebbene il suo impatto stia diminuendo rapidamente. Studi recenti condotti dall'Fmi hanno indicato che nei paesi più avanzati, compresi gli Stati Uniti, la crescita del deficit pubblico è stata per lo più automatica e legata principalmente alla riduzione delle imposte e all'aumento di benefici per la disoccupazione, piuttosto che alle misure di stimolo alla spesa.

In effetti è difficile stabilire un tempismo adeguato per le riduzioni fiscali dato che da un lato c'è la preoccupazione di una nuova recessione e deflazione, dall'altro c'è invece il rischio di un debito eccessivo, di un'instabilità valutaria e, nei casi in cui la disoccupazione è ormai diventata strutturale, il dubbio sui benefici di eventuali nuovi stimoli.
Uscire da questo contesto sarà difficile e doloroso. In questa fase, l'opzione migliore sarebbe di adottare un piano pluriennale basato su presupposti di crescita ragionevoli con lo scopo di abbassare il deficit a livelli sostenibili e limitare l'accumulo di debito pubblico.

Con un Congresso nuovo e più ostile e con i membri di un nuovo team economico in campo, la sfida di Obama è di creare un ampio consenso su una strategia di ripresa a medio-lungo termine focalizzata sul ripristino della crescita e dell'occupazione. Le limitate risorse fiscali a disposizione dovrebbero essere investite in aree legate alla competitività nel settore dei beni tradable, soggetti a concorrenza estera. Ciò implicherebbe di conseguenza la rinuncia ad alcuni servizi pubblici.

La crescita netta dell'occupazione nell'economia degli Stati Uniti degli ultimi 20 anni si è concentrata in settori di beni untradable in cui l'America non deve mettersi in competizione: pubblica amministrazione, sanità e, fino alla crisi, edilizia. Sembra poco probabile che questi settori possano sostenere la crescita dell'occupazione in futuro.
È pertanto necessario cambiare le condizioni facendo in modo che la competitività diventi il principale obiettivo della politica statunitense di lungo termine. Prima si fa, meglio è.

© PROJECT SYNDICATE, 2010

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