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Commenti e Inchieste

Primo: evitare il contagio

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2010 alle ore 07:36.

Se fondi insieme 16 piccole economie aperte ottieni una grande economia chiusa. Ma è qui che sta l'inghippo: se metti insieme i leader di 16 piccole economie aperte, ottieni una stanza piena di 16 politici con mentalità da piccola economia.
La gestione dell'economia attraverso il Consiglio europeo si è rivelata sempre cacofonica e spesso incompetente. È un consesso istituzionale dove scaricare la colpa su qualcun altro. Gli irlandesi dicono che loro non sono la Grecia. I portoghesi dicono che loro non sono l'Irlanda. Il ministro dell'Economia spagnolo ha detto la scorsa settimana che la Spagna non è il Portogallo. Chi indovina cosa non è l'Italia non vince nulla: troppo facile.
Questo paradosso della governance economica è l'elemento centrale della crisi della zona euro. Spiega per esempio perché, nel pieno di una crisi bancaria esistenziale si discuta della tassazione delle imprese in Irlanda. Francesi e tedeschi sostengono che le tasse irrisorie esistenti in Irlanda producono effetti distorsivi sulla concorrenza. Gli irlandesi dicono che hanno bisogno di questa tassazione bassa per attirare investimenti esteri diretti. È difficile immaginare un argomento meno rilevante di questo per i problemi correnti.

Il compito urgente è fermare il contagio della crisi bancaria irlandese. I canali del contagio non sono difficili da individuare. I due maggiori creditori dell'Irlanda sono il Regno Unito e la Germania, con prestiti rispettivamente per 149 e 139 miliardi di dollari, secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali. Un default del settore bancario irlandese colpirebbe in maniera diretta le banche tedesche e britanniche, obbligando a mettere in campo cospicui piani di salvataggio a livello nazionale.
Un secondo canale di contagio è quello che passa per i mercati di capitali e arriva al Portogallo. Il principale creditore del Portogallo è la Spagna, a sua volta in situazione precaria, con esposizioni per 78 miliardi di dollari. Un default delle banche irlandesi si diffonderebbe come il fuoco in un campo. Bisogna prevenirlo.
Ci sono tutte le ragioni del mondo perché l'Irlanda venga aiutata dal Fondo europeo per la stabilità finanziaria, una struttura che è stata creata appositamente per situazioni del genere. Contrariamente a quello che mi aspettavo, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria ha trovato un modo per erogare prestiti a tassi di interesse relativamente bassi. La contropartita è un tetto complessivo ai prestiti molto più basso di quanto suggerirebbe la cifra ufficiale di 440 miliardi di euro. Ma anche così sarebbe sufficientemente cospicuo per gestire qualunque crisi possa ragionevolmente colpire Irlanda e Portogallo. Ma non abbastanza per gestire qualunque problema possa sorgere in Spagna. Da questo punto di vista non è un ombrello per la zona euro, ma solo per due dei suoi membri più piccoli e periferici.

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Tags Correlati: Bce | Bri | Consiglio Europeo | Dublino | Fabio Galimberti | Fmi | Germania | Investimenti delle imprese | Kevin O'Rourke | Ocse | Patrick Honohan | Portogallo | Ricardo Cabral | Spagna | Trinity College |

 

Considerata la posta in gioco, sia per l'Irlanda che per la zona euro nel suo complesso, è assurdo che Dublino continui a fare la ritrosa, ed è altrettanto assurdo che gli altri leghino il prestito da parte del Fondo europeo per la stabilità finanziaria a tematiche di politica fiscale. La settimana scorsa i negoziatori della Ue, della Bce e dell'Fmi sono sbarcati a Dublino per colloqui che non saranno facili. Pur avendo manifestato la volontà di giungere a un accordo, il governo irlandese resta determinato a evitare a tutti i costi un'umiliazione.
Anche quelli che i prestiti li devono erogare sono influenzati da considerazioni politiche. L'approvazione del Parlamento tedesco, per esempio, non è scontata. Dobbiamo prepararci anche a elementi di finanza strutturata finalizzati, come sempre, a confondere le acque. Patrick Honohan, il governatore della banca centrale irlandese, ha già lasciato intendere che forse al suo paese può bastare un prestito stand by (da incassare solo in caso di necessità). Stand by non vi suona molto meglio di bail out? Se riuscirà a stabilizzare la situazione, chi se ne importa.
La mia previsione è che la zona euro riuscirà a superare questa crisi di finanziamento sul breve termine. I meccanismi per risolverla sono già tutti in funzione. Ma quello che mi preoccupa sono due sviluppi a medio termine, che Eurolandia non è assolutamente preparata ad affrontare. Il primo è la solvibilità. Il Fondo europeo per la stabilità finanziaria può garantire liquidità per le banche irlandesi, ma non può renderle solvibili. Il debito estero lordo irlandese alla fine del secondo trimestre ammontava a 2.131 miliardi di dollari, all'incirca il 1.000% del Pil. Alla fine del 2009, la posizione debitoria netta con l'estero era del 75,1% del Pil, secondo l'economista Ricardo Cabral. Meglio di quella del Portogallo, ma comunque alta.

Per restare solubili, l'Irlanda e altri paesi della periferia di Eurolandia hanno bisogno di tornare a crescere, e in fretta. Kevin O'Rourke, professore di economia al Trinity College di Dublino, la settimana scorsa ha sollevato un importante punto di principio: se si è convinti che le riforme strutturali sono la chiave per una crescita più sostenuta, di sicuro non si può applicare questa argomentazione all'Irlanda, esempio da manuale di paese che le riforme le ha applicate. In un momento di drastici tagli alla spesa pubblica, di politiche monetarie moderatamente restrittive e domanda globale debole, da dove dovrebbe venire questa crescita per l'Irlanda non è affatto chiaro. Dublino pensa veramente che le grandi aziende straniere si lasceranno allettare dalle tasse basse e sceglieranno questo momento per investire, considerando l'attuale situazione di incertezza?
Il mio secondo timore è che si possa tornare a una situazione di pesanti squilibri all'interno della zona euro. L'Ocse la settimana scorsa ha previsto che il surplus della Germania nel saldo con l'estero entro il 2012 dovrebbe tornare al 7% del Pil, vicino ai livelli di prima della crisi. Stiamo seminando per la prossima crisi, e la Ue non avrà né istituzioni, né fondi di riserva e né forze di pronto intervento per affrontarla.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© FINANCIAL TIMES

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