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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2010 alle ore 08:38.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2010 alle ore 06:39.
Da qualche parte bisogna cominciare a tagliare per far quadrare i conti. Chi tiene i cordoni della borsa ha l'ingrato compito, istituzionale, di fare il signor no. Non per scelta ma per responsabilità. Al ministro dell'Economia Tremonti bisogna riconosce - questo giornale lo ha fatto in tempi non sospetti - che il suo rigore e la sua intransigenza hanno messo in sicurezza i conti e tenuto il paese saldamente sulla linea di galleggiamento. Ci sono delle spese, però, che sono diverse dalle altre. Sono investimenti sul futuro. La cultura, la ricerca, l'innovazione.
Sui fondi per la cultura, in particolare, con gli occhi rivolti ai crolli di Pompei e alle manifestazioni dei lavoratori dello spettacolo, non si può rimanere indifferenti. Ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando alla delegazione di attori, registi ed esponenti di cinema e teatro ricevuti al Quirinale per la consegna dei premi Vittorio De Sica, ha lanciato un appello al dialogo, a un confronto a tutto campo sui fondi alla cultura. La strada che occorre perseguire per lo sviluppo economico e sociale del paese, ha detto Napolitano, non passa dalla «mortificazione della risorsa di cui l'Italia è più ricca, la risorsa cultura nella sua accezione unitaria». Soprattutto quando, come nel caso del fondo unico per lo spettacolo. Non è una spesa, è un investimento sul futuro.