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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2010 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2010 alle ore 09:18.
Una recente sentenza della Corte europea riapre il dibattito sulla parità dell'età di pensionamento di uomini e donne. La Corte dà ragione a una lavoratrice austriaca che si ritiene discriminata, perché mandata in pensione a 60 anni, cinque anni prima dei suoi colleghi uomini.
La sentenza offre spunti interessanti anche per il nostro paese. La lavoratrice austriaca ha fatto ricorso esattamente contro quel tipo di discriminazione per la quale la Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia, imponendo di equiparare l'età di pensionamento di donne e uomini nel pubblico impiego. Infatti la Corte europea ritiene che l'uscita anticipata dal mondo del lavoro delle donne rispetto agli uomini discrimini le donne, perché limita le loro possibilità di accumulare reddito per la vecchiaia e aumenta il rischio di povertà. Questo risultato è aggravato dai divari di genere esistenti nel mondo del lavoro: poiché le donne guadagnano meno degli uomini, hanno percorsi di carriera più discontinui e associati a maggiori periodi di inattività non coperti da contributi previdenziali, la loro posizione pensionistica è in media più sfavorevole di quella degli uomini, specialmente in termini di generosità della pensione alla quale avranno diritto. Un minore periodo contributivo, sostiene l'Europa, riduce ulteriormente la possibilità di raggiungere i requisiti per una pensione pari a quella di cui mediamente godono gli uomini.
Questa posizione dell'Europa ha scatenato in Italia forti opposizioni. In particolare, in tanti hanno sottolineato come proprio l'uscita anticipata dal mercato del lavoro delle donne rispetto agli uomini sia da interpretare come una compensazione ex post per gli svantaggi subiti dalle donne nel percorso lavorativo, una soluzione alla discriminazione esistente nel mondo del lavoro anziché, come sostiene l'Europa, una sua aggravante.
Ancora una volta dobbiamo ripartire dalla questione centrale del dibattito: cosa significa parità tra uomini e donne? Significa uguaglianza di opportunità durante la vita lavorativa così come nella pensione. Significa superare i divari di genere nei tassi d'occupazione, nelle retribuzioni, nelle posizioni di vertice, per recuperare tutti i talenti, maschili e femminili, e valorizzarli allo stesso modo. Questo consentirebbe di migliorare la qualità di vita di tutti e di ridurre il rischio di povertà, di aumentare il benessere del nostro paese e prepararsi ad affrontare le sfide di una società sempre più complessa nelle relazioni interpersonali, familiari, lavorative. Perpetuare le differenze, nel lavoro o nelle pensioni, non ci porta molto lontano. Focalizzarsi sugli obiettivi di parità è invece un compito molto più impegnativo, ma più promettente.