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Il canone in bolletta non migliorerà la Rai

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2010 alle ore 06:39.

Una poll tax per la tv. La svolta era nell'aria da tempo e ieri il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani l'ha annunciata dalle colonne del Corriere della Sera: gli italiani pagheranno il canone con la bolletta della luce. Se vorranno evitare il balzello, dovranno dimostrare di non possedere un apparecchio televisivo.
Una mossa obbligata, sostiene il ministro, per sconfiggere la cospicua evasione e far pagare di meno a tutti. La Rai ha 16 milioni 700mila abbonati che nel 2009 hanno versato nelle sue casse 1,63 miliardi.

Poiché le famiglie sono quasi 23 milioni, il numero di chi la fa franca è indubbiamente elevato. Anche se, già oggi, il canone è qualcosa di molto simile alla poll tax o imposta capitaria: se si possiede un televisore, bisogna pagarla.

Eppure la svolta di Romani, per quanto nobilitata dall'obiettivo di combattere l'evasione, ha in sé qualcosa di odioso. Usare la bolletta della luce per riscuotere la tassa equivale a dire: «Respiri, quindi paghi il canone». Non c'è scampo: se vuoi illuminare casa tua, se vuoi far funzionare un frigorifero o una stufetta, devi goderti anche gli spettacoli della Rai. E non importa se l'etere pullula di canali che offrono qualsiasi programma si cerchi: quei tre li devi pagare.

La mossa è impopolare: se si vota in primavera, la maggioranza rischia di essere danneggiata. Nei mesi scorsi le iniziative di "protesta fiscale" mirate a non pagare il canone sono state numerose: non solo Beppe Grillo, ma anche la Lega e i giornali del centro-destra si sono mobilitati.

Con il digitale terrestre, che sta per andare a regime, sarebbe possibile "criptare" i canali Rai e farli vedere solo a chi compra l'apposita tesserina. È esagerato immaginare che gli abbonamenti (quasi 10 euro al mese) si dimezzerebbero? A quel punto che cosa ne sarebbe del "circo equestre" Rai, dei suoi 11.350 dipendenti, delle decine di direttori nullafacenti con autista, della mangiatoia delle produzioni esterne? Altro che Alitalia. Il massacro sarebbe tale che persino Corrado Passera e Roberto Colaninno si terrebbero ben alla larga.
L'obiezione che la Rai svolge un servizio pubblico vale sempre meno perché se le trasmissioni d'informazione e di cultura sono valide "si pagano" da sole. E fanno ascolti record: il caso recente della trasmissione «Vieni via con me» realizzata da Fabio Fazio e Roberto Saviano lo dimostra.

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Tags Correlati: Alitalia | Beppe Grillo | Corrado Passera | Fabio Fazio | Fedele Confalonieri | Lega | Mediaset | Paolo Romani | Partiti politici | RAI | Roberto Colaninno | Roberto Saviano

 

In realtà il canone è diventato una vera e propria tassa per mantenere la Rai così com'è. Ovvero saldamente nelle mani dei partiti che tendono a trasformare l'informazione in propaganda e che utilizzano quel consistente flusso di denaro, impiegato in modo discrezionale e con pochi controlli, per accontentare fameliche clientele.

Il guaio è che nessuna delle possibili alternative, per quanto coraggiose e "di mercato" possano apparire, risulta politicamente praticabile. Eliminare il canone e con esso il tetto alla raccolta pubblicitaria costringerebbe la Rai a un drastico ridimensionamento perché la pubblicità in più non basterebbe a compensare la soppressione di quel gettito garantito. Inoltre farebbe perdere soldi a Mediaset (controllata dalla famiglia del presidente del Consiglio) e ai giornali (controllati dai maggiori gruppi industriali e finanziari).

Mettendo all'asta il servizio pubblico (come chiede spesso il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri) si rischia di spostare una massa di quattrini del contribuente proprio verso il gruppo Berlusconi.

Non resta, in questo sistema bloccato, che tenersi la poll tax. E almeno sperare che un giorno la Rai sia gestita da un management e da un consiglio di amministrazione che rispondono all'azionista per la bontà dei risultati raggiunti. E non solo per l'orientamento politico dei programmi.
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