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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2010 alle ore 09:32.
Era da giorni che ricevevo telefonate da giornalisti americani che mi domandavano se ero l'advisor economico di Sarah Palin. La cosa mi sembrava alquanto strana. Non solo non avevo mai avuto il piacere di conoscere l'ex governatore dell'Alaska, ma dubitavo perfino che lei sapesse della mia esistenza. In America sono poco conosciuto al di fuori del mondo accademico. E anche i miei scritti più divulgativi non sono circolati al di fuori di una ristretta cerchia di intellettuali.
Martedì il mistero è stato risolto, con l'uscita del suo nuovo libro: America by Heart. Non solo dal libro risulta che Sarah Palin conosce alcuni dei miei lavori, ma mi cita nel suo libro come l'economista che ha fatto di più per difendere il libero mercato durante la crisi, abbracciando la mia idea di un capitalismo "pro market e non pro business". Quello che sorprende è che non solo conosce il mio nome, ma che dimostra di capire pienamente la mia posizione. È una posizione non facile tra chi, in nome della difesa del mercato, difende il sistema a oltranza, comprese le degenerazioni che abbiamo visto durante la crisi, e chi invece non crede nel mercato e vuole soffocarlo o peggio distruggerlo. Un difficile distinguo tra un populismo crescente che vede nel ricco un approfittatore e nel finanziere un criminale e una cortigianeria imperante che difende i ricchi in quanto tali e li rispetta, indipendentemente dal modo in cui hanno accumulato la loro ricchezza.
È una posizione rischiosa da un punto di vista politico perché denuncia come le grosse imprese si siano appropriate della bandiera del libero mercato, utilizzandola per arricchirsi mentre di fatto restringevano la competizione e succhiavano soldi ai contribuenti. Difficile perché rischia di alienare l'establishment economico e quindi di perdere la più grossa fonte di finanziamento in campagna elettorale, almeno per chi non è sostenuto dai sindacati. Forse la Palin se lo può permettere perché l'establishment economico e politico è già tutto contro di lei e quindi non ha nulla da perdere. E perché gode di un seguito popolare che le consente di imitare (almeno dal punto di vista del finanziamento elettorale) le orme di Barak Obama, che ha raccolto enormi somme di denaro con piccoli contributi attraverso internet. Obama, però, a fianco della marea di piccoli finanziatori, si è avvalso di massicci contributi del mondo finanziario. Contributi che poi ha ripagato, al di là della retorica elettorale, con un occhio di riguardo verso questo mondo. Farà la Palin la stessa fine: paladina di un capitalismo popolare da candidata e poi difensore degli interessi costituiti una volta eletta?