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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2010 alle ore 06:39.
Ormai Cina e "aggressività" sono diventati praticamente sinonimi. Il ritratto del Regno di Mezzo che ne fa la stampa in Occidente è omogeneamente assai poco lusinghiero: la Cina mantiene sottovalutata la propria valuta per procurarsi vantaggi e benefici commerciali impropri; si comporta con tracotanza nei confronti dei suoi vicini nelle dispute territoriali; non sta facendo nulla di concreto per tenere a freno il pericoloso regime nordcoreano. In Cina, tuttavia, l'opinione pubblica ha una percezione del comportamento a livello internazionale di Pechino pressoché diametralmente opposta.
La maggior parte della gente comune ritiene che il governo cinese non sia, a dir poco, abbastanza aggressivo. Considera i propri leader privi di spina dorsale e ritiene immotivate e ipocrite le critiche dell'Occidente.
Si prendano per esempio due casi di cui si parla molto: la rissa per la politica del tasso di cambio cinese e la baruffa tra Cina e Giappone per le isolette contese. La percezione prevalente dell'uomo della strada è che l'America stia accusando immotivatamente la Cina per le proprie disgrazie economiche e stia forzando la mano perché Pechino adotti un'altra politica che arrecherebbe soltanto danno all'economia cinese senza per questo rafforzare la crescita americana. Nel caso della controversia sino-giapponese, la maggior parte dei cinesi crede che l'Occidente si sia ingiustamente schierato col Giappone.
La spiegazione più ovvia è il nazionalismo in piena ascesa in Cina, alimentato sia dall'istruzione patriottica impartita dallo stato, sia dal controllo totale da parte del partito comunista dei media. Paradossalmente, il governo sta perseguendo una strategia che mira a ottenere l'impossibile: dare nuovo impulso alle proprie ambizioni nazionalistiche pur mantenendo al contempo una politica estera flessibile. Da un lato il partito comunista è smanioso di dimostrare di aver reso la Cina una potenza mondiale stimata. Dall'altro i leader vogliono continuare a seguire una politica estera pragmatica. Le tensioni sottostanti a questa strategia la rendono vieppiù insostenibile. Ad acuire ulteriormente questa divergenza di opinioni e di percezioni c'è il fatto che la Cina, in realtà, è usa a parametri diversi. Nelle proprie relazioni con il mondo in genere e con l'Occidente in particolare, la Cina è affetta da due inconvenienti di non poco conto: il suo potere e la natura del proprio regime. Al pari di altre grandi potenze, la Cina è giudicata in funzione di parametri molto più elevati. Ci si aspetta da essa, per esempio, che usi autocontrollo e moderazione in ogni circostanza e che si assuma maggiori responsabilità a livello internazionale.