Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 06:39.
u Continua da pagina 1
La ragione di questa maggiore fragilità è che, quando il debito è denominato in valuta estera, la banca centrale non può aiutare lo stato se i mercati si rifiutano di rinnovare il debito in scadenza: stampare moneta non serve a nulla, perché induce una svalutazione del cambio che aggrava l'onere del debito. La consapevolezza che manca questa valvola di sicurezza espone il debitore sovrano alla volatilità dei mercati finanziari. Fino a che i mercati hanno fiducia, il debito è sostenibile e non vi sono problemi. Ma se la fiducia viene a mancare, non c'è più nulla da fare, perché il peso del debito in scadenza può facilmente diventare insostenibile. In altre parole, la banca centrale è un pilastro fondamentale su cui si regge la stabilità di un debitore sovrano. In condizioni normali, non ce ne accorgiamo. Ma l'assicurazione implicita che, in condizioni estreme, possiamo contare sull'aiuto della banca centrale è ciò che rende stabile il sistema.
I paesi dell'area euro possono indebitarsi nella loro valuta, naturalmente. Tuttavia, nessun singolo paese può contare sulla politica monetaria per far fronte a situazioni d'emergenza. Questa era la condizione per consentire alla Germania di mettere in comune la moneta e la banca centrale. La conseguenza inevitabile è che le crisi di fiducia sul debito sovrano sono più probabili, e possono coinvolgere anche paesi che non hanno raggiunto un rapporto debito/Pil particolarmente elevato, come appunto Spagna e Portogallo. Ci eravamo illusi di poter ignorare questo problema. Ora scopriamo che non è così.
Il secondo problema comune a diversi paesi europei è l'intreccio tra crisi del debito pubblico e crisi bancaria. Nel caso della Grecia lo stato era all'origine della crisi. In Irlanda invece i conti pubblici erano sotto controllo fino a poco tempo fa (nel 2007 il debito pubblico netto dell'Irlanda era il 12% del Pil). Ma durante l'estate due eventi hanno capovolto la situazione. Le autorità di vigilanza si sono accorte (troppo tardi) che le perdite delle banche erano molto superiori al previsto. Quasi allo stesso tempo, stava per scadere la garanzia su tutte le passività delle banche che il governo irlandese aveva dato all'apice della crisi del 2008. Il governo ha scelto di rinnovare la garanzia su un ammontare di obbligazioni bancarie pari a più del 30% del Pil. Ma questo era troppo per una finanza pubblica già sotto pressione per la crisi economica. I mercati hanno tolto la fiducia al paese. La lezione da trarre è semplice: non serve salvare le banche se poi ciò mette a rischio la solvibilità del sovrano.