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Sotto la regia di Vittorio Grilli la task force del Tesoro contro la speculazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2010 alle ore 09:19.

ROMA - Non è una vera e propria «unità di crisi», anzi al ministero dell'Economia tengono a definire la strategia messa in atto in queste ore come «normale in tempi di persistente turbolenza», nella convinzione che alla fine sui mercati «prevarrà il semplice buon senso». E tuttavia, ai piani alti del ministero di Via XX Settembre ci si attrezza, per la verità come ogni giorno, ad affrontare eventuali nuove tensioni che dovessero coinvolgere, dopo Grecia e Irlanda, con Spagna e Portogallo già in sofferenza, anche i titoli del debito pubblico italiano. Il monitoraggio è costante, di ora in ora, con i computer che proiettano dati, simulano scenari in quella che con il passare dei giorni ha acquisito via via le sembianze di una «sala operativa» in grande stile.

È collocata nei piani alti del ministero, sotto la regìa del direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. Sotto strettissima osservazione, lo spread dei titoli a due anni, definiti «più liquidi» e dunque da seguire con grande attenzione, e il differenziale dei decennali, meno liquidi e per questo indicatore prezioso per verificare la risposta dei mercati alla stabilità e affidabilità di medio termine dell'intera struttura del debito pubblico.

L'aria che si respira, per la verità, è di relativa tranquillità. Le informazioni vengono veicolate in tempo reale direttamente dalla «sala macchine» alle varie direzioni generali, in particolare quella retta da Maria Cannata, dirigente di grande esperienza e solidità, ben attrezzata a navigare nel mare spesso agitato dei titoli pubblici. Sull'intera task force ministeriale pesa l'onere di gestire la montagna dei 1.800 miliardi di debito pubblico, eredità pesante degli anni della finanza allegra e dell'assalto alla diligenza.

Una sola cifra: correva l'anno 1980, governo Cossiga con Franco Reviglio alle Finanze, Nino Andreatta al Bilancio e il debito pubblico veleggiava al 57,5% del Pil di allora. L'aumento vertiginoso della spesa pubblica, passata dal 29% del Pil del 1960 al 42% del 1980, era la premessa per l'esplosione del debito. Ed ecco la situazione solo qualche anno dopo: nel 1992, l'anno della più grave crisi finanziaria della storia recente, il debito era salito al 105,2% per toccare il suo picco due anni dopo al 121,5% per cento.

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Tags Correlati: Europa | Franco Reviglio | Giulio Tremonti | Maria Cannata | Ministero del Tesoro | Nino Andreatta | Task Force | Titoli di Stato | Vittorio Grilli

 

Nel breve volgere di poco più di un decennio, le classi dirigenti dell'epoca hanno ipotecato il futuro di intere generazioni. Eredità con cui tutti siamo chiamati a fare i conti. Al Tesoro ne sono ben consapevoli. I governi passano, il debito resta e va gestito, si potrebbe parafrasare. Paradossalmente però, questa situazione di «costante anormalità» è vissuta dalla task force ministeriale come un elemento di forza: come dire, la struttura di Via Venti Settembre è attrezzata a navigare in acque tempestose. Non per questo viene sottovalutato l'impatto del nuovo terremoto che si è abbattuto sull'intera area dell'euro.

Flussi, analisi e proiezioni passano dalla «sala macchine» direttamente alla valutazione di Grilli poi dello stesso Giulio Tremonti. La linea seguita finora, quella del progressivo e costante allungamento della durata del debito, è apprezzata e paga. Certo ci si attrezza a contingenze non proprio favorevoli, ma quel che è accaduto tre giorni fa quando lo spread tra i nostri Btp e i bund tedeschi è salito a 210 punti base, il più alto dalla nascita dell'euro, è un segnale vissuto tuttavia senza particolare angoscia, soprattutto dopo il più favorevole andamento del giorno successivo.

Al Tesoro vivono le loro giornate con il calendario delle prossime aste in evidenza sulle rispettive scrivanie, l'occhio rivolto ai 240 miliardi di emissioni di titoli a medio e lungo termine che dovranno essere collocati nei prossimi mesi, circa 20 miliardi in meno rispetto all'anno che sta per chiudersi. Il computer riversa i dati relativi ai movimenti in corso, acquisti e vendite sia sul mercato primario che sul secondario, e i grafici fotografano le curve: se ritenute in qualche modo fisiologiche, le si gestisce, se al contrario si registrano movimenti anomali si ipotizzano eventuali «piani B» da attivare nel caso la situazione precipiti. Il tutto in strettissimo raccordo con le cancellerie di mezza Europa.

Al ministero, del resto, lo ripetono pressochè quotidianamente: è vero che la situazione sui mercati finanziari resta a dir poco delicata, ma l'ipotesi di un vero e proprio crollo dell'euro è roba da fantascienza, uno scenario da non prendere nemmeno in considerazione.
D.Pes.

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