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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 06:39.
In questi ultimi mesi l'opinione pubblica italiana sembra percorsa da una sola parola d'ordine: il Pd è nel pantano, prova ne sia che Berlusconi perde consensi senza che quel partito riesca a intercettarli. I democratici appaiono come un pesce in barile e il loro segretario un novello San Sebastiano infilzato, sul fianco destro, da Fini e Casini e, su quello sinistro, da Di Pietro e Vendola, ovvero dalle alchimie del politicismo neo-democristiano e dai facili personalismi delle primarie di coalizione all'amatriciana. Due modi ugualmente efficaci per morire tra delusioni maliziose e interessati scoramenti.
Eppure, se alzassimo lo sguardo potremmo scoprire un'altra prospettiva: Bersani ha accettato di pagare un prezzo in termini di consenso al suo partito, in quanto sta seguendo una precisa linea politica, non priva di risultati già nell'immediato. Egli infatti non ha scelto la strada più facile, quella di collocare il partito nel recinto dell'opposizione di sinistra al Cavaliere, tra Di Pietro e Vendola, ma ha voluto situarlo al centro di tutte le opposizioni al berlusconismo. A suo modo di vedere è preferibile un Pd "basso" sul piano elettorale, ma nel cuore delle possibili alternative al Cavaliere, che non un Pd "alto", ma isolato a sinistra (dove in tanti lo vorrebbero). In questa maniera si è lasciato aperto il maggior ventaglio di alleanze possibili nella convinzione che i voti non valgono solo in base alla loro quantità, ma se hanno un valore intrinseco, ossia se possono essere spesi in diversi scenari che a tutt'oggi non sono ancora definibili per modalità e tempi e certo non dipendono da lui.
Ma perché Bersani avrebbe accettato di pagare questo prezzo e quali risultati che sta raggiungendo? Anzitutto, lo ha fatto per offrire una sponda a Fini. Nel giro di sei mesi il presidente della Camera è uscito dal Pdl, ha fondato un nuovo partito, ha ritirato i ministri dal governo e ora sfiducia il suo antico alleato, in un quadro di palese antagonismo alla leadership del Cavaliere. Se Fini non avesse trovato il Pd dove lo ha incontrato, ossia disponibile a un governo di responsabilità nazionale per cambiare la legge elettorale, non avrebbe mai avuto la forza di sfidare Berlusconi a viso aperto, anche perché Casini non avrebbe esitato un attimo a sostituirlo nel governo, peraltro restituendogli pan per focaccia. Non a caso lo spauracchio di una maggioranza alternativa è già operativo in Parlamento, ma potrebbe scattare anche in caso di elezioni, in un quadro emergenziale, come abilmente ventilato dal capogruppo Franceschini, avversario di Bersani alle primarie, entrato nella maggioranza del partito rafforzando il segretario.