Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2010 alle ore 10:23.
Prima ha ricordato che fra i valori islamici c'è anche la protezione dell'ecosistema, «l'uso frugale e saggio delle risorse naturali». Poi, nel sermone che due settimane fa ha chiuso i tre giorni dell'hajj, il pellegrinaggio alla Mecca, sheikh Abdul Aziz al-Sheikh ha ammonito che «diffondere la violenza, l'odio e l'estremismo è contro l'etica dell'Islam», il cui obiettivo è invece «garantire pace e sicurezza».
Non è poco, se lo dice il Gran Mufti dell'Arabia Saudita, volto del wahabismo, pilastro della conservazione religiosa saudita dal cui brodo di cultura erano venuti due terzi degli attentatori dell'11 settembre. Era stato re Abdullah a sceglierlo come Gran Mufti.
Ed è stato lui a imporre quella "moral suasion" necessaria perché il paese e il suo clero uscissero dall'ambiguità, iniziando un percorso di riforme: cauto perché la società saudita resta profondamente conservatrice, ma efficace perché il tempo corre anche nel più profondo deserto della penisola arabica.
Abdullah bin Abdulaziz bin Saud (fra questi due bin ci sono altri cinque riferimenti tribali paterni) è uscito da una sala operatoria negli Stati Uniti una decina di giorni fa. Niente di preoccupante: ernia al disco con "accumulo di sangue" alla spina. Ma ieri, inaspettatamente, è stato ricoverato di nuovo.
L'operazione, dicono i medici, è riuscita. Ma Abdullah ha quasi 87 anni. Sultan, fratellastro, principe ereditario e ministro della Difesa, ne ha 85 ed è appena tornato dal Marocco dove è in cura per un tumore.
Naif, ministro degli Interni, fratellastro di Abdullah e figlio della stessa madre di Sultan, il terzo nella linea di successione, ne ha 77 e soffre di cuore. Seguono altri sei principi ultrasettantenni e tre di poco più giovani: i sopravvissuti dei 37 figli maschi di Abdel Aziz, l'emiro che nel 1932 fondò il regno dell'Arabia Saudita, cacciando gli hashemiti. Tutti, e dopo di loro i 5mila principi delle generazioni successive, hanno diritto di essere un giorno re. Difficile non cogliere semi d'instabilità.
Non c'è nulla di pittoresco in tutto questo. Stiamo parlando del custode di Mecca, Medina e del 20% delle riserve petrolifere mondiali; di un'economia da 4.200 miliardi di dollari che esporta energia per 150 miliardi l'anno: nei prossimi tre anni l'Arabia Saudita spenderà 385 miliardi di dollari solo in infrastrutture. Parliamo di una nazione di quasi 30 milioni di abitanti, piena di giovani, con un piede nel Medio Evo e l'altro in cerca di uno stabile appoggio nel XXI secolo.