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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2010 alle ore 07:30.
Ormai in Transatlantico gli scenari del dopo-Berlusconi non riguardano più solo il Governo e quello che verrà dopo. C'è qualcosa che preoccupa, inquieta – ma alimenta anche appetiti – ben oltre il destino dell'Esecutivo: l'eredità del Pdl. Che ne sarà del partito e dei voti di Silvio Berlusconi?
È questo il day after dell'uscita di scena del Cavaliere su cui la politica più s'interroga, dentro e fuori i confini del Popolo delle libertà. Perché se c'è qualcosa che avvicina il declino berlusconiano al tramonto dei partiti della Prima repubblica è proprio questa eredità. Come nel '94 i voti ex Dc ed ex Psi confluirono in gran parte su Forza Italia, oggi, il vero snodo cruciale per gli assetti politici italiani è su chi sarà il leader e quale la forza che raccoglierà i consensi di un Pdl orfano di Silvio Berlusconi.
A ben vedere la partita si gioca su questo campo. La caduta del Governo è un mezzo, il bottino del Pdl invece è il fine. È questo il reale interesse che fa muovere l'assalto al Cavaliere: scongelare un blocco di voti e di consensi nell'ordine del 30 per cento. Una miniera d'oro per qualsiasi partito. Ed è questo il calcolo su cui il "terzo polo" si è messo insieme e ha creato una joint venture: puntare a quell'area di moderati che fino a oggi si è riconosciuta nel Pdl. Tant'è che Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli e Luca Cordero di Montezemolo non gradiscono troppo quella definizione – "terzo polo" – che già li incasella in un bacino ridotto di consensi ma, piuttosto, preferiscono dire che saranno loro il primo polo. Ovvio che, se la scommessa è fare un'opa ai voti del Pdl, le elezioni anticipate sono il peggiore degli scenari.
Dall'altra, parte, nel fortino assediato del Pdl, i timori sono al massimo. E per loro, al contrario, il ricorso alle urne rappresenta una difesa estrema del loro patrimonio e della loro compattezza. Sì, compattezza. Nel Pdl sanno bene che senza Berlusconi il partito si spezzerebbe in mille aree, correnti, fazioni. Ed è anche questo che avvicina il Pdl alla Dc di una volta, finita in pezzi dopo le inchieste di Tangentopoli. Stessa sorte capiterebbe al Popolo delle libertà che già oggi ha dentro di sé una ventina tra correnti e fondazioni rimaste in sonno proprio per la leadership incontrastata di Berlusconi. Se, dunque, dal Pdl arriva una difesa al premier è anche per l'effetto collaterale di non vedere il proprio partito balcanizzato, in preda alle mire di altri.