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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2010 alle ore 09:30.
L'ultima modifica è del 07 dicembre 2010 alle ore 09:39.
Ci vuole una dose di ottimismo quasi sconfinato per credere possibile un fatto nuovo, cioè l'apertura di un negoziato tra Berlusconi, Fini e Casini prima del 14 dicembre. La realtà dice l'esatto contrario: la politica romana è in una condizione di stallo, scandito qui e là da schermaglie sempre più aspre, talvolta al limite della volgarità. E il Parlamento chiuso è la fotografia amara che descrive lo stato delle cose.
Sappiamo, d'altra parte, che nei giorni scorsi non sono mancati i tentativi di stabilire un contatto, se non proprio un avvio di dialogo, fra i contendenti. È noto che il tessitore più tenace è stato, al solito, Gianni Letta. Ma non ci sono margini e si capisce perché. La tensione che si è accumulata ha bisogno di sfogarsi. «Futuro e Libertà», il gruppo di Fini, è nato per riscattare il centrodestra dal «berlusconismo». Giusta o sbagliata, questa è la sua ragion d'essere: chiudere la stagione di Arcore. E infatti il presidente della Camera accentua i suoi attacchi al premier, imprimendo loro un profilo etico prima ancora che politico. Berlusconi, scandisce Fini, non solo non ha mantenuto le promesse fatte agli italiani, ma è anche privo di «onestà intellettuale».
È vero che in politica tutto può cambiare in fretta, ma su queste premesse è impossibile immaginare che i finiani rinuncino a votare la sfiducia il 14. E in cambio di cosa, poi? Berlusconi non concede nulla perché è convinto di vincere tra una settimana il braccio di ferro parlamentare, prima al Senato e subito dopo a Montecitorio. Si tratta di un azzardo perché nessuno può essere certo di come si risolverà un voto sul filo del rasoio. Però è un azzardo tipico del personaggio, che non a caso ostenta sicurezza. Quanto all'uscita di Fini («non ci saranno ribaltoni») sembra soprattutto un modo per difendersi dall'accusa più insidiosa che il Pdl gli rovescia addesso: quella di essere diventato uno strumento della sinistra, pronto a qualsiasi avventura parlamentare. Perciò il presidente della Camera parla ai suoi e li rassicura. Obiettivo ovvio: tenere unito «Futuro e Libertà».
Tuttavia, se non ci saranno «ribaltoni», vuol dire che la crisi dovrà aprirsi e risolversi risolversi nel perimetro del centrodestra allargato a Casini. Operazione complessa al limite della temerarietà, che richiede quelle dimissioni di Berlusconi prima del 14 che a Palazzo Chigi, lo sappiamo da tempo, non prendono in considerazione. E allora? Un nuovo governo Berlusconi, ma alle condizioni di Fini e Casini, non è realistico prima del voto parlamentare. Dopo il voto, si vedrà. Ma con due ipotesi sul campo molto diverse tra loro.