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Commenti e Inchieste

Come salvare l'eurozona

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2010 alle ore 08:52.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2010 alle ore 09:02.

Eurolandia sopravviverà nella sua forma attuale? Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima prendere in considerazione tre interrogativi più specifici. Uno: quante probabilità ci sono di assistere a un'ondata di default tra i paesi dell'euro? Due: Eurolandia è in grado di apportare i cambiamenti necessari per prevenirli? Tre: se questi default avvenissero, l'euro riuscirebbe a sopravvivere? Le mie risposte sono: parecchie; probabilmente no; forse, ma non ne sono sicuro.


Quello che sta avvenendo è un meccanismo ben noto agli esperti di paesi emergenti, lo "stop improvviso". Prima del 2007, il credito facile finanziava le bolle speculative, l'edilizia e i consumi, pubblici e privati. Poi improvvisamente i mercati hanno imboccato la strada della sobrietà: i fondi si sono prosciugati, i prezzi delle case sono crollati, l'edilizia è precipitata, i governi sono intervenuti per coprire i debiti di un sistema finanziario allo sbando, l'economia si è impantanata e il deficit è schizzato alle stelle.
Gli stati periferici e a rischio di Eurolandia ora sono alle prese con un sistema finanziario in difficoltà, un disavanzo di bilancio elevato, un rapporto debito/Pil in rapido incremento, tassi d'interesse alti, scarse prospettive di crescita e l'assenza di una Banca centrale che dia liquidità al mercato del debito. Le scarse prospettive di crescita, a loro volta, sono dovute in parte a una perdita di competitività. Se questi indicatori riguardassero un normale paese emergente, il default sembrerebbe inevitabile.
Tutto questo ci porta alla seconda domanda: Eurolandia è in grado di apportare i cambiamenti necessari per prevenire i default? La risposta è: probabilmente no. Una ragione è che i creditori li vogliono. Sì, la Germania ha proposto che questa soluzione sia applicata solo al debito futuro. Ma nei mercati dei capitali il futuro è sempre adesso. Inoltre, i fondi attualmente disponibili non sono sufficienti a finanziare tutti i paesi deboli abbastanza a lungo da evitare un default, specialmente perché questi paesi si troveranno nella necessità di provocare una deflazione e tornare a crescere ristrutturando il debito. Come sostiene, in un recente studio per il Legatum Institute di Londra, Desmond Lachman dell'American Enterprise Institute, le prospettive di crescita giocano un ruolo fondamentale. Ma in assenza di flessibilità del tasso di cambio e in presenza di tassi d'interesse alti, tagliare il deficit e basta può avere addirittura l'effetto di aggravare la situazione economica.

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Tags Correlati: Desmond Lachman | Fabio Galimberti | Unione Europea

 


E arriviamo alla domanda finale: l'euro sopravvivrebbe a un'ondata di ristrutturazioni del debito? Il primo aspetto è che la crisi rischia di avere proporzioni colossali, perché una ristrutturazione molto probabilmente ne scatenerebbe altre. Inoltre, il sistema bancario verrebbe colpito pesantemente: alla fine del 2009, per esempio, i titoli di stato a lunga scadenza dei quattro paesi più vulnerabili nelle mani delle banche francesi e tedesche ammontavano rispettivamente al 16 e al 15% del Pil. Per le banche europee nel loro insieme la percentuale è del 14% del Pil. Pertanto, se si profilasse concretamente una ristrutturazione del debito pubblico, il rischio sarebbe di scatenare il panico fra i creditori e, nella peggiore delle ipotesi, un'altra crisi finanziaria globale. E si renderebbero necessarie anche altre iniezioni di capitali pubblici nelle banche. Ecco perché il governo di Dublino è stato "convinto" a salvare i creditori più illustri delle sue banche, a spese dei contribuenti irlandesi.
Eppure, nemmeno una crisi di questa portata implicherebbe la dissoluzione dell'unione monetaria. Le unioni monetarie possono tranquillamente sopravvivere a crisi finanziarie e default degli stati. È una questione di volontà politica. Ci aspetta un mix di trasferimenti finanziari dai paesi degni di fiducia e austerity nei paesi indegni di fiducia. Più ingenti saranno i primi, meno drastica sarà la seconda. È una tensione che potrebbe essere gestibile se fosse plausibile un rapido ritorno alla normalità. Ma non è così. Ci sono buone probabilità che questa situazione si protragga a lungo.
Ancora peggio: una volta che un paese è stato costretto a ristrutturare il suo debito pubblico e ha visto svanire nel nulla anche una fetta importante del suo sistema finanziario, i costi aggiuntivi legati alla reintroduzione di una valuta propria devono sembrare piuttosto contenuti. Anche questo dev'essere chiaro agli investitori. E anche in questo caso timori del genere possono rendere più probabile un fuggi fuggi dai titoli di stato dei paesi più deboli.
Per gli scettici il problema è sempre stato questo: quanto può essere solida un'unione monetaria fra economie diverse con una solidarietà reciproca non illimitata? Solo una crisi poteva dare una risposta a questo interrogativo. Purtroppo la crisi che è arrivata è la peggiore da ottant'anni a questa parte. Le misure che i paesi di Eurolandia riusciranno a concordare basteranno a tenerli insieme? Non lo so. Ma tra non molto, lo sapremo tutti.
(Traduzione di Fabio Galimberti
© FINANCIAL TIMES

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