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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2010 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2010 alle ore 09:44.
I novant'anni di Carlo Azeglio Ciampi sono un'occasione per riflettere sulla nostra storia. È un esercizio a cui ormai pochi si dedicano. Ma Ciampi è stato il presidente della Repubblica che più di tutti si è dedicato a ravvivare la memoria nazionale ed è riuscito, quasi per miracolo, a trasformarla in uno strumento vitale di comunicazione fra cittadini e istituzioni. Da mazziniano convinto, ha saputo coniugare la Nazione con la più grande «patria europea», per cui la riscoperta del sentimento di italianità si è mescolata senza alcuna contraddizione con la spinta verso l'Europa, antidoto ad ogni deriva prevaricatrice.
Stiamo parlando di un disegno insieme politico e culturale molto ambizioso, in un paese quasi sempre privo di visione e di orizzonti larghi. Un modello che negli anni recenti poteva essere incarnato forse solo da Ciampi, cioè da un umanista che ha servito le istituzioni in varie forme e a livelli altissimi. Ne è derivata una sintesi che in passato era tipica dei grandi uomini che hanno ricostruito l'Italia e l'hanno ricollocata nel novero delle democrazie occidentali. Uomini come Mattioli, Baffi, Ugo La Malfa, Carli, per citarne alcuni: dediti a un progetto, profondi conoscitori dell'Italia, dei suoi punti di forza e delle sue debolezze, attenti conoscitori di storia, di economia, di finanza e di politica.
Sotto questo aspetto la vita di Ciampi coincide con quella di un uomo del Risorgimento. L'ultimo uomo del Risorgimento, si potrebbe dire. Educato agli stessi valori, al medesimo senso dello Stato, allo stesso culto della memoria. Sappiamo che è stata sempre un'Italia di minoranza, capace tuttavia di imporsi e di farsi protagonista, con la forza della volontà e delle buone cause, di tutti i passaggi rilevanti della nostra vicenda pubblica. L'ultimo dei quali è stato non a caso l'impegno per la moneta unica: un traguardo che non era arido tecnicismo di banchieri centrali, bensì una straordinaria sfida «risorgimentale» da combattere e vincere. Ed è stata vinta, con tenacia e determinazione.
Si capiscono anche le ragioni dell'amarezza che Ciampi non nasconde, nei suoi scritti e nelle interviste, di fronte ai lati oscuri dell'Italia di oggi. Basta scorrere le pagine della conversazione con Arrigo Levi («Da Livorno al Quirinale», edito dal Mulino) e di quella con Alberto Orioli («Non è il paese che sognavo», Il Saggiatore).