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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2010 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2010 alle ore 09:44.
"ColdBlood", lo aveva annunciato. «I siti web che fanno capo a società pronte a piegarsi alla volontà dei governi saranno colpiti». La promessa alla Bbc del più loquace fra gli hacker allineati dietro la sigla Anonymous è stata rispettata. "SangueFreddo" ha raccontato i dettagli dell'assalto al web che i più abili giocolieri dell'online hanno portato contro siti riconducibili ai "nemici" di Julian Assange. Prima di tutto coloro che hanno sospeso i servizi di pagamento, e quindi il flusso di danaro, a favore di WikiLeaks. Mastercard sta soffrendo più di tutti.
L'operazione "PayBack", come gli hackers l'hanno nominata, s'è concentrata sul potente circuito di carte di credito. Secondo la Bbc in molti casi «c'è stata una completa caduta del servizio», secondo la società finanziaria, invece, si tratta solo di «traffico intenso sul sito www.Mastercard.com che resta, comunque accessibile come pure l'uso del circuito per transazioni sicure».
Parole smentite dal tam tam della rete. All'anticipazione di ColdBlood ha fatto seguito la replica di AnonOps che ha annunciato la vittoria dell'offensiva online. «Siamo felici di farvi sapere - ha dichiarato l'hacker - che www.Mastercard.com è bloccato». Paralizzato dalla procedura Ddos che prevede l'invio contemporaneo di un numero infinito di contatti, tale da sommergere il sito. Secondo Paul Mutton della società di sicurezza informatica NetCraft almeno 1.600 persone hanno agito contemporaneamente. Altri, probabilmente, si sono attivati per mandare in tilt www.aklgare.se ovvero l'indirizzo internet della procura svedese, quella che indaga sugli episodi di violenza sessuale all'origine dell'accusa che ha portato Julian Assange in carcere. Altri ancora hanno imprigionato www.advbyra.se che fa capo all'avvocato Claes Borgstrom legale delle due donne vittime presunte dello stupro. Mosse che spaventano e inducono a sorprendenti confessioni. Come quella di Osama Bedier, presidente di PayPal che sostiene di aver bloccato il flusso di finanziamenti a WikiLeaks «perché il Dipartimento di stato aveva detto che facevano cose illegali».
WikiLeaks è ormai un macigno che rotola travolgendo tutto quanto incontra. Dalla Libia rimbalzano, così, le accuse di Gheddafi all'America con considerazioni del tipo «l'avevamo sempre detto noi» quello che fanno gli Usa; da Cuba, invece, si dà un nome e una professione alla prima vittima dei presunti abusi di Julian Assange. Si chiamerebbe Anna Ardin e secondo il quotidiano cubano Granma sarebbe una nota spia della Cia.