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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2010 alle ore 09:26.
Facciamo l'ipotesi (non irrealistica) che il ddl Gelmini alla fine non passi. Tutto si ferma e torna la "normalità". Parliamone. Abbiamo risolto i problemi di finanziamento? No, perché i finanziamenti sono quelli decisi dalla legge di stabilità e in ballo ci sono 800 milioni invece di 1,1 miliardi. Abbiamo risolto il problema del ruolo dei ricercatori e della carriera dei più bravi? Doppio no. Perché la messa a esaurimento del ruolo è legge dal 2004 e perché il rapporto numerico tra ricercatori, associati e ordinari è fissato a tutt'oggi a 60-30-10, il che vuol dire - inter alia - che un buon terzo dei ricercatori attuali e di quelli in via d'assunzione è destinato, nei numeri, a rimanere tale.
Cambia qualcosa per la didattica "di volontariato" svolta dai ricercatori? Nulla, perché la didattica di quest'anno è stata costruita sulla disponibilità dei ricercatori a svolgerne una parte consistente. L'indisponibilità non solo costringerà gli atenei a riorganizzare la didattica di questo sfortunato anno accademico per garantire il diritto degli studenti a laurearsi, ma porterà giocoforza a riconsiderare l'offerta formativa 2011-2012 riducendo e riorganizzando i corsi. Altro che riconoscere il ruolo docente dei ricercatori!
E veniamo ai precari. Pochi atenei saranno in grado di bandire altri posti a tempo indeterminato, mentre i ricercatori a tempo determinato già ci sono e aumenteranno in numero perché si tratterà di posizioni di gran lunga preferibili a un ennesimo assegno di ricerca... E i concorsi? Abbiamo ormai provato tutte le modalità del "kamasutra concorsuale". Nessuna legge può cambiare la testa delle persone e nemmeno l'abilitazione nazionale prevista dal ddl. Solo valutazioni esterne e responsabilità palesi possono influire sui risultati delle selezioni mentre noi continuiamo a "chiedere all'oste se è buono il suo vino", quindi...
E veniamo alla "governance". Non è argomento che scalda i cuori, anche se dovrebbe, visto che da essa dipende molto della "università percepita". Il ddl impone un cambiamento e i cambiamenti non sono sempre per il meglio, certo. I cambiamenti vanno governati e l'esito dipende dalle motivazioni e dagli obiettivi. Però gli attuali senati accademici e consigli d'amministrazione li conosciamo, e conosciamo le defatiganti procedure che non consentono rapidità di decisione e trasparenza delle responsabilità e lasciano, comunque, i colleghi "scollegati" dai processi autentici di formazione delle decisioni. Per non parlare della pletora di corsi di studio e di mini-dipartimenti e di micro-facoltà che gli attuali organi accademici, pur sotto la falcidia dei bilanci, non sembrano in grado di modificare.