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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2010 alle ore 08:31.
L'ultima modifica è del 17 dicembre 2010 alle ore 07:47.
Nell'epoca triste del tutti contro tutti, della radicalizzazione estrema e della delegittimazione reciproca c'è ancora, perlomeno in America, qualche segnale di speranza. Un gruppo di politici, analisti e opinionisti statunitensi ha costituito No Labels, nessuna etichetta, un'associazione civica il cui motto è: «Né sinistra. Né destra. Avanti».
No Labels non è un partito politico, non auspica un nuovo centro, non invita a lasciare gli schieramenti di appartenenza. Non auspica un terzo polo e non inciucia. Si limita a invocare una cosa rivoluzionaria nella sua semplicità: unire repubblicani, democratici e indipendenti, americani di destra e di sinistra, nel rispetto reciproco, nel lavoro comune, nella condivisione dei valori fondamentali del vivere civile. Non si può governare, dice, odiando l'altra metà del paese. Servono codici etici al Congresso e nei dibattiti televisivi, comportamenti incentrati sul fair play e soprattutto sui fatti, perché come diceva il senatore Daniel Patrick Moynihan «tutti hanno diritto alla propria opinione, ma non ai propri fatti».
No Labels non chiede l'unità nazionale, non sponsorizza proposte legislative, non insegue mediazioni o compromessi né impone agli associati di rinunciare ai loro principi. Sostiene piuttosto che l'America potrà superare la crisi, mantenere la leadership e innovare la società globale soltanto se smetterà di combattere la guerra culturale intestina, se chiuderà la stagione della character assassination degli avversari, se si libererà da insinuazioni, accuse, partigianerie che impediscono al paese di rimboccarsi le maniche, di sviluppare idee, di ascoltare gli altri e di accettare soluzioni di buon senso.
L'evento di lancio di No Labels si è tenuto alla Columbia University di New York alla presenza del sindaco indipendente della città Mike Bloomberg, del primo cittadino democratico di Los Angeles Antonio Villagroisa, della giovane star afroamericana di Newark Cory Booker, dell'ex senatore democratico dell'Indiana Evan Bayh, del deputato repubblicano Bob Inglis e dell'editorialista del New York Times David Brooks.
Tra i promotori ci sono numerosi reduci dell'era clintoniana e bushiana. Funzionari di primissimo livello come Bill Galston, stratega di politica interna di Clinton oggi pilastro della Brookings Institution, ma anche David Frum, uno degli ideatori della formula "asse del male" che ha definito la politica post 11 settembre di Bush. Uno dei promotori è Mark McKinnon, un pubblicitario democratico che trascendendo partiti e ideologia ha diretto la comunicazione di Bush, è stato vicino al senatore John McCain e ha lasciato il ruolo di consigliere del candidato repubblicano per non cedere alla tentazione di dover delegittimare l'avversario Barack Obama nella campagna elettorale presidenziale di due anni fa.