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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2010 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 17 dicembre 2010 alle ore 06:39.
Sono noti i criteri per i quali il magistrato può disporre le misure cautelari: rischi di fuga, di reiterazione del reato, d'inquinamento delle prove. Se questi elementi non sussistono l'imputato deve essere lasciato libero. Lo indica la legge, guai a non tenerne conto prima di cedere all'indignazione di fronte a questa o quella scarcerazione in apparenza facile. È il garantismo del nostro sistema giudiziario, teniamocelo stretto. Fissati i principi, però, è il magistrato a deciderne l'attuazione. Si entra così nel campo della discrezionalità.
Ecco, allora, che i giudici romani chiamati a decidere sulla custodia dei 23 fermati per gli scontri di martedì a Roma possono decidere per la loro scarcerazione perché, essendo giovani e incensurati, «la sia pur breve privazione della libertà subita» ha avuto «un'efficacia deterrente idonea a dissuaderli dalla reiterazione di analoghe condotte delittuose». Peccato che quelle condotte delittuose sono avvenute in un corteo di giovani che protestavano contro la riforma universitaria e che mercoledì prossimo a Roma si annunciano nuovi cortei dei medesimi giovani contro la medesima riforma universitaria. Dubitare allora è legittimo. È garantismo o è giustificazionismo? E se sei un agente che martedì ha dovuto partecipare a una guerriglia suo malgrado, anche irritarsi è ben più che legittimo.