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Repubblicani nel ring per scegliere l'anti Obama

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2010 alle ore 08:10.

Il Sole 24 Ore inaugura una serie giornalistica sulle storie da tenere d'occhio nel 2011. Il 2011 è un anno decisivo, anche se - per quanto riguarda gli Stati Uniti - la storia con la S maiuscola non gioca a favore del Partito repubblicano. Negli ultimi cento anni, il presidente americano che ha perso le sue prime elezioni di metà mandato, come è successo a novembre a Barack Obama, due anni dopo è stato sempre rieletto. Certo Obama è ammaccato, specie se si ricordano i giorni trionfali della sua elezione 2008.

Nel primo anno di presidenza ha perso il consenso dei moderati e degli indipendenti, insistendo sulla riforma sanitaria nel pieno della crisi economica. Nel secondo anno ha perso i suoi, delusi dai troppi compromessi. Nel terzo, il 2011, gli resta poco da perdere.

L'anno delle presidenziali è il 2012, ma a definire il lotto di candidati conservatori che sfiderà il presidente sarà quello che sta per iniziare. A primavera è già previsto il primo dibattito tra i contendenti repubblicani alle primarie. Si terrà in California alla Fondazione Ronald Reagan, di fianco a una replica esatta dell'Air Force One in uso al quarantesimo presidente degli Stati Uniti. Il 7 giugno ce ne sarà un altro in New Hampshire. Ad agosto i candidati si sposteranno in Iowa. A settembre 2011 andranno a Tampa, in Florida, nella città della convention repubblicana di fine agosto 2012. Il calendario dei dibattiti è già pieno, ma formalmente non si è ancora candidato nessun repubblicano. I nomi non mancano, anzi ce ne sono almeno diciotto in circolazione. I frontrunner, gli irregolari, i senza chance, le sorprese.

A gennaio si inizia. Il primo ad annunciare la candidatura sarà il deputato dell'Indiana Mike Pence, un veterano del Congresso di Washington, noto per il rigore liberista delle sue proposte in materia economica (è il preferito del Cato Institute). Seguiranno l'ex governatore del Massachusetts Mitt Romney e il governatore uscente del Minnesota Tim Pawlenty. A poco a poco toccherà anche gli altri. I l nuovo censimento americano dà un aiuto agli avversari di Obama. Gli stati tradizionalmente conservatori sono più popolosi rispetto a dieci anni fa e nel 2012 alle elezioni presidenziali peseranno di più. Il candidato repubblicano potrà quindi contare su una decina di grandi elettori in più rispetto a quanti ne avevano John McCain e George W. Bush quattro e otto anni fa.

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Tags Correlati: Air | Bill Clinton | Camera dei deputati | Cary Grant | Harley Davidson Motorclothes | John Bolton | Mitt Romney | Onu | Partiti politici | Paul Rand | Pubblica Amministrazione | Rick Perry | Sarah Palin | Senato | Stati Uniti d'America | Tim Pawlenty

 

Tutto ruota intorno a Sarah Palin, l'unica vera star della galassia repubblicana. Amata dai libertari dei Tea Party e dagli evangelici della destra religiosa, l'ex candidata alla vicepresidenza nel 2008 è l'unica personalità della Right Nation capace di entusiasmare il mondo conservatore. Palin è la favorita, ma è detestata dentro il partito e invisa agli strateghi elettorali dell'era Bush, a cominciare da Karl Rove. L'ex governatore dell'Alaska non ha peso specifico, manca di quella gravitas necessaria a guidare il mondo libero. Il paradosso di Palin è che se decidesse di scendere in campo sarebbe il candidato da battere ma, allo stesso tempo, anche la sfidante più facile per Obama, tanto che alla Casa Bianca temono che non saranno così fortunati da averla come avversaria. Con Obama in ripresa è probabile che Palin non si candiderà. Non ci sono soltanto ragioni politiche. Nell'ultimo anno e mezzo ha guadagnato oltre 12 milioni di dollari tra libri, contratti tv, discorsi pubblici. Un nuovo libro è in libreria, il suo reality show è stato uno degli eventi dell'anno. Palin, inoltre, non ha uno staff di caratura nazionale e snobba i boss del partito.

L'altro favorito è Mitt Romney, già candidato due anni fa, ma sconfitto alle primarie da John McCain. Allora come adesso, Romney ha il curriculum perfetto per sfidare Obama. Un passato da imprenditore e da innovatore. Un'esperienza di governo nello stato liberal del Massachusetts, dove ha varato una riforma sanitaria presa esplicitamente a modello da Obama. Romney però non convince, è poco credibile, cambia spesso idea, al punto da aver rinnegato la sua riforma sanitaria per non apparire troppo simile a Obama. Non si sa se sia moderato o radicale, forse non è né l'uno né l'altro, ma tende ad adeguarsi ai sondaggi e ai focus group. Inoltre è mormone, una religione considerata da buona parte degli americani al pari di una setta.

Accanto a Palin e Romney, tra i potenziali frontrunner ci sono Tim Pawlenty e Haley Barbour. Anche Pawlenty ha un curriculum perfetto. Apprezzato governatore centrista del Minnesota, uno degli stati più socialdemocratici d'America, da due anni è tra i repubblicani più attivi. Gira l'America, con particolare attenzione agli stati chiave delle primarie. Due anni fa è stato sul punto di essere nominato nel ticket con McCain. Pawlenty è il campione del conservatorismo operaio e di provincia, lontano dalle agiatezze dei country club e dalle mille luci delle grandi città. Ultimamente si è spostato più a destra, in modo più credibile rispetto a Romney, anche grazie al sostegno della moglie evangelica. Pawlenty, però, non buca lo schermo, non scalda i cuori, non riesce a galvanizzare il popolo repubblicano. Haley Barbour, celebrato questa settimana sulla rivista neocon Weekly Standard, è il solido governatore del Mississippi. Sessantratrè anni, conservatore tutto d'un pezzo, beniamino dell'establishment del partito, Barbour è noto per le sue formidabili qualità di fund-raiser. Ma da sole non bastano.

Nel secondo gruppo di candidati anti-Obama ci sono gli irregolari poco amati dal partito. Palin rientra anche in questa categoria, ma il campione è Newt Gingrich, l'ex speaker della Camera che nel 1994 ha guidato la rivoluzione conservatrice anti-Clinton. Politico, romanziere e intellettuale, Gingrich si è ritagliato il ruolo di uomo delle idee, di visionario, di vecchio saggio capace di guardare al futuro. Non si è fatto molti amici dentro il partito e anche su di lui, come su Palin, c'è il sospetto che in realtà si agiti molto per capitalizzare al massimo l'esposizione mediatica pre-elettorale. Un altro personaggio che non manca mai dagli schermi televisivi, da cui conduce un talk show domenicale su FoxNews, è Mike Huckabee. Già governatore dell'Arkansas, nato ad Hope, nello stesso paese di Bill Clinton, Huckabee è stato il leader della destra evangelica alle primarie repubblicane del 2008. A sorpresa ha vinto il caucus dell'Iowa e prima di ritirarsi ha continuato a raccogliere i voti dei conservatori religiosi. Se Palin si candida non ha alcuna chance di farcela, ma tra i due è più probabile che scenda in campo lui di Palin. L'altro outsider è il destrissimo senatore della South Carolina Jim De Mint, considerato il padrino politico dei Tea Party e lo sponsor dei neoeletti a Washington. Poche le sue probabilità di vittoria.

Senza nessuna chanche gli appartenenti al terzo gruppo. Uno è Mike Pence, come detto. Un altro è Ron Paul, già presente nel 2008. Paul è il padre nobile dei Tea Party, ma anche il papà naturale di Rand Paul, appena eletto senatore del Kentucky con una piattaforma liberista. Paul è un libertario radicale, vuole abolire le tasse sul reddito, la Banca centrale, le spese militari, un mucchio di ministeri e gran parte dello stato centrale. Si vocifera anche di Rick Santorum, cattolico, antiabortista, senatore della Pennsylvania non rieletto nel 2006. Non ha escluso la candidatura nemmeno l'ex ambasciatore all'Onu John Bolton, l'unico del gruppo di conservatori a puntare sulle posizioni da superfalco in politica estera e sulla sicurezza nazionale.

Il gruppo più interessante è quello delle possibili sorprese. Mitch Daniels e John Thune sono i due da tenere d'occhio. Daniels è il governatore dell'Indiana, eletto con grande scarto nello stesso giorno del 2008 in cui Obama ha vinto a sorpresa nello stato del midwest. Daniels ha lavorato con Ronald Reagan e ha diretto l'ufficio del budget alla Casa Bianca di George W. Bush. Da governatore dell'Indiana, lo stato che ama girare in sella a una Harley Davidson, ha sanato il deficit tagliando le spese, riformando l'amministrazione pubblica e riducendo in modo storico le tasse. Un capolavoro. Thune è alto, ha una faccia alla Cary Grant ed è un eroe dei repubblicani per aver battuto, nel 2004, il leader democratico al Senato Tom Daschle. Conservatore, ma pragmatico, Thune rappresenta il South Dakota, uno stato che pesa poco il giorno delle elezioni presidenziali. Magari né Daniels né Thune ce la faranno, ma saranno in prima fila per la candidatura a vicepresidente. Un'altra sorpresa potrebbe essere Marco Rubio, trentanovenne neoeletto senatore della Florida. Figlio di profughi cubani, eroe dei Tea Party, ma per niente estremista e con un'idea ottimista dell'America centrata sulla speranza e sul futuro, Rubio è considerato l'Obama ispanico, la risposta repubblicana al presidente nero. Anche lui, sebbene inesperto, potrebbe entrare nella short-list dei vicepresidenti.

Un altro astro nascente è Bobby Jindal, coetaneo di Rubio e governatore della Louisiana. Due anni fa l'impatto sul palcoscenico nazionale non è stato felice e Jindal ha perso un po' di smalto, ma la sua candidatura non è esclusa. Le due sorprese più grandi sarebbero Chris Christie e Rick Perry, governatori del New Jersey e del Texas. I due non potrebbero essere più diversi. L'italoamericano Christie, 48 anni, obeso, sembra un caratterista della serie tv «I Soprano», ma è il più spettacolare e brillante governatore degli Stati Uniti. Battuta pronta, stile che non fa prigionieri, pugno duro con il bilancio e gli avversari. Perry, invece, sembra uscito da un film western, a giudicarlo da passo e postura. Piace ai Tea Party e ha flirtato con la secessione. È il successore di Bush ad Austin, la capitale del Texas. Ma conquistare la capitale d'America non sarà altrettanto facile.

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