House Ad
House Ad
 

Commenti e Inchieste

Intervista a Mario Monti: «Gli Eurobond nell'interesse tedesco»

Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 08:08.

Compassato europeista e autorevole economista qual è, Mario Monti è senz'altro un uomo adatto per cercare di persuadere il cancelliere Angela Merkel e l'opinione pubblica tedesca che gli eurobond e l'istituzione di un'agenzia del debito europea sono le idee giuste per dare solidità all'eurozona e prospettive di lungo periodo alla moneta unica. Di certo il presidente della Bocconi, ex capo dell'Antitrust europeo e responsabile della task force per il rilancio del mercato unico, in questa intervista sa fornire argomentazioni lucide in favore dell'iniziativa e di una ricetta che cerchi di combinare rigore e crescita, per garantire un 2011 di stabilità all'Europa.

È passato un anno da quando esplose la questione greca che innescò la crisi dei debiti sovrani dei paesi periferici dell'eurozona. Pensa che in quest'anno l'Europa abbia fatto abbastanza per mettersi al riparo da crisi di più ampia portata e per assicurare un 2011 tranquillo all'euro?
Ad andare in crisi un anno fa e a rimanere in crisi non è per la verità l'euro ma l'eurozona. Il valore dell'euro ha avuto alti e bassi, ma non dobbiamo dimenticare che la moneta unica è stata creata per mettere l'Europa al riparo dalle svalutazioni competitive e per proteggere gli europei dall'inflazione. Anche in quest'anno di crisi dell'eurozona, l'euro non è venuto meno a questa duplice funzione.

Dove le radici della crisi?
Indubbiamente abbiamo visto una crisi di alcune basi su cui l'euro era stato costruito e cioè la disciplina dei bilanci pubblici. E poi i mercati sonnolenti per dieci anni hanno recuperato in attivismo scuotendo il sistema dopo che lungamente si erano cullati e avevano fatto cullare i politici nella convinzione che la qualità del credito fosse la stessa per i diversi paesi.
Il 2010 è stato insomma un anno di presa di coscienza....
Questo anno ha visto il rafforzamento di una costruzione che aveva dimostrato le sue fragilità. Non si è fatto abbastanza ma si è fatto molto. Un giorno forse il 2010 sarà visto come un anno di particolare successo dell'euro.

Lo pensa davvero?
Guardiamo tre punti: Grecia, Germania e Bruxelles. Ad Atene sarebbe stato inimmaginabile, senza l'ancoraggio all'euro e l'intervento di Ue e Fmi, che la politica e la società producessero il piano in attuazione, che non è solo di contenimento degli squilibri del bilancio pubblico ma anche di riforme e di trasformazione strutturale. Se funzionerà è una prova della forza dell'euro. In Germania abbiamo visto una presa di consapevolezza guidata con incertezze, ma alla fine con efficacia, dal cancelliere Merkel. Non chiamiamola solidarietà perché non è il termine che apre le porte a Berlino, ma si è fatta strada l'idea di una partecipazione a una responsabilità sistemica a tutela dell'eurozona e degli stessi interessi della Germania, non solo delle banche tedesche. E nell'Unione europea abbiamo visto adottare di colpo una proposta che spesso veniva suggerita dagli europeisti accesi, ma mai presa in considerazione, cioè il semestre europeo: la presa d'atto che prima ancora che i governi presentino i progetti di bilancio ai parlamenti occorre che se ne faccia un vaglio e un coordinamento ex ante a Bruxelles. Si è data poi più sistematicità allo sforzo con il pacchetto sulla nuova governance.

L’articolo continua sotto

Tags Correlati: Angela Merkel | Bce | Bocconi | Bruxelles | Europe | Fmi | Francia | Germania | Giulio Tremonti | Governo | Grecia | Italia | Jean-Claude Trichet | José Barroso | Klaus Regling | Mario Monti | MIT | Stati Uniti d'America | Task Force | Tommaso Padoa-Schioppa | Università di Yale

 

Lei pensa che questi passi siano sufficienti? Lei stesso nel suo rapporto di maggio al presidente Barroso ha proposto l'istituzione di un'agenzia europea del debito che emetta e-bond in comune, idea poi rilanciata dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti e dal premier lussemburghese Jean Claude Juncker con un articolo sul Financial Times.
Si è fatto molto ma non abbastanza. Quello che resta da fare riguarda il miglioramento ulteriore dell'impianto per evitare crisi nate da disavanzi e debiti eccessivi e per intervenire ove queste si manifestino: la governance riformata del patto di stabilità, la sorveglianza sugli equilibri macro-economici e i miglioramenti nella presa di decisioni. Si sono fatti passi per mettere in piedi il Fondo di stabilità, e da ultimo il Meccanismo europeo, anche se con una certa ambiguità, da una parte per rassicurare i mercati, dall'altra per dimostrare che si interviene per salvare l'euro e non tal o talaltro paese.

Cosa manca ancora?
Mancano ulteriori elementi di integrazione nei mercati finanziari e un impasto più stretto tra politica della disciplina e della crescita. Sul piano finanziario mi riferisco alla questione del debito pubblico e degli Eurobond. La proposta di emettere Eurobond è vecchissima e in parte lo si è fatto, ma qui la novità è di emettere titoli obbligazionari da parte di un'agenzia comunitaria che potrebbe essere domiciliata presso l'Esfs, l'attuale fondo di stabilità europeo presieduto da Klaus Regling, come puro strumento di debt management non di finanziamento di maggiori spese. Ho inserito questa proposta nelle misure di approfondimento del mercato unico, perché non c'è in Europa un mercato di titoli pubblici di dimensioni e liquidità adeguata all'importanza dell'Unione europea.

Cosa dobbiamo fare per convincere anche i tedeschi che è una buona idea?
Questo è il punto essenziale. Dipende anche da chi le propone. Se, come capita oggi, si esprimono a favore Italia, Spagna, Grecia, Portogallo questo suona male alle sospettose orecchie tedesche. È stato molto opportuno che il ministro Tremonti si sia fatto accompagnare dalla firma di Juncker nel suo articolo. Il mio sforzo è quello di sviluppare gli argomenti di interesse al progetto per la Germania o per quelli che le si sentono vicini.

Quali sono questi argomenti?
Dal punto di vista tedesco ci si può chiedere, rispetto alla situazione in assenza di Eurobond, se ci saranno maggiori costi o rinunce a benefici differenziali nel finanziare il debito pubblico. E se, rispetto ad avere la Germania come emittente, questi Eurobond incentiveranno la responsabilità o l'irresponsabilità. Per tutti il mercato diventa più liquido grazie a questa dimensione più trasparente. E quindi, a parità di qualità dei debiti, tutti possono risparmiare qualcosa. In più c'è un vantaggio che dipende dal modo di ripartizione dei benefici a fine anno, in particolare da quelli che derivano a questa agenzia dall'acquisto con sconto di titoli distressed che verranno tenuti fino alla scadenza.

Il fatto che ci sia una quota del debito a carico dell'agenzia e una parte a carico del governo nazionale non potrebbe dare vita a processi speculativi?
In un certo senso sì. I titoli emessi dall'agenzia sarebbero titoli senior, quindi privilegiati in caso di insolvenza rispetto a quelli emessi dai singoli stati, ma questo è voluto perché un'altra regola fissa un limite massimo di emissione che è una percentuale uguale per tutti non del debito ma del Pil. Per cui i paesi che hanno finanza pubblica più squilibrata avranno una percentuale più bassa di debito che passa dalla "strada buona" e quindi saranno più esposti sull'altra, un forte incentivo.

Ci sono altre leve di persuasione sulla Germania?
Far partecipare i mercati ai sacrifici. Con questo meccanismo i privati parteciperebbero ai sacrifici subito, perché se uno ha obbligazioni del tesoro greco o irlandese e vorrà disfarsene potrà venderli all'agenzia, accollandosi uno sconto. Non dimentichiamo poi un altro elemento importante in un'ottica tedesca. In assenza di un'agenzia, la Bce si è dovuta comprare un sacco di titoli di bassa qualità con due conseguenze: deve emettere moneta anche se poi sterilizzabile, e si mette in pancia titoli di bassa qualità, facendo nascere il dibattito se stia diventando una "bad bank". Io non critico queste operazioni ma l'agenzia permetterebbe la liberazione della Bce da compiti impropri potenzialmente inflazionsitici e questo agli occhi tedeschi dovrebbe valere molto.

Ma quanto tempo ci vorrà per convincere i tedeschi?
Queste argomentazioni cominciano a essere prese in considerazione anche in Germania, come si è visto con l'articolo a favore degli Eurobond di Steinmeier e Steinbrück sul Financial Times, il ministro degli esteri e delle finanze della signora Merkel durante la grande coalizione. C'è quasi di che vedere una Grande coalizione che si può ricreare su un terreno parziale ma importante

E dalla Francia di Nicolas Sarkozy non era legittimo attendersi più entusiasmo sugli Eurobond?
Sul piano intellettuale forse sì. Però pensiamo sempre ai posizionamenti. Così come è pericoloso che un'idea come questa sia sostenuta solo da governi prevalentemente con alto debito, anche se nel caso di Tremonti con credenziali di chi ha fatto una politica di rigore su questo terreno; così la Francia non vuole dare ai mercati l'idea che si sta staccando dalla conquista di essere considerata amante della stabilità come la Germania. Conquista che ha toccato l'apice con Jean-Claude Trichet alla guida della Bce.

La signora Merkel non riesce comunque ad apparire siceramente europeista come Kohl, non le pare troppo condizionata da motivazioni interne?
Credo sia una sincera europeista che però non ha vissuto una guerra come il sincero europeista Kohl. E in definitiva Kohl ha perduto le elezioni per aver sostenuto l'euro. Comunque dall'epoca di Kohl in tutti i sistemi politici è aumentata la visione di breve periodo.

La preoccupa questa "vista corta" dei governi?
Sì, perché sta arrivando perfino nel campo della disciplina. Vedo il rischio che si voglia soddisfare la fame e sete di disciplina apparentemente forte e rigorosa sul deficit e questa volta anche sul debito. Un errore dopo la creazione di un patto di stabilità senza una distinzione tra consumo pubblico e investimento pubblico.

Lei prevede nel nuovo Patto, in corso di elaborazione, rischi di rigidità che potrebbero abbattersi su un paese con alto debito pubblico come l'Italia?
È presto per dirlo perché il testo della task force fatto proprio dal Consiglio Ue e il testo della Commissione sottolineano molto più di prima l'attenzione al rientro del rapporto debito/Pil ma rinviano alla legislazione secondaria la definizione di tempi e parametri. Bisogna però fare attenzione che ci sia anche sufficiente attenzione a meccanismi e politiche di crescita.

Come conciliare il rilancio della crescita con il rigore di bilancio necessario in Europa per uscire dalla crisi?
Il tema della crescita è fondamentale. È stato giusto fare dei rilanci della domanda nei momenti più gravi della crisi, ma io non vorrei politiche per la ripresa basate sul disavanzo pubblico. Quindi il rinserrare la disciplina di bilancio, seppure in modo più razionale, ben venga. Ma la crescita occorre. Da dove può venire senza espandere i disavanzi pubblici? Solo da un guadagno di produttività e competitività dell'economia europea derivante dal realizzare seriamente il mercato unico. Anzitutto metterlo ben al riparo dagli emergenti nazionalismi economici che ogni tanto cercano di farlo tornare indietro. Poi realizzarlo pienamente in campi dove c'è solo in parte, come i servizi, o dove non c'è affatto come l'economia digitale. Ecco il legame che c'è tra l'istinto del presidente della Commissione José Barroso di chiedere uno studio sul mercato unico e la governance. Al missile della riforma della governance bisognava mettere uno stadio per promuovere il mercato unico. Avrebbe anche fatto vedere ai cittadini - e l'Europarlamento è molto sensibile all'argomento - che l'Europa non bada solo a disciplinare i bilanci.

Lei crede all'ipotesi che sia la Germania a uscire dall'euro?
Il rischio è piuttosto che l'investimento politico tedesco nell'ulteriore costruzione dell'Unione europea ceda il passo all'investimento politico con altri partner esterni. Sui "due euro" io sono abbastanza tranquillo, perché se un giorno si dovesse veramente considerare l'ipotesi di spaccare la zona euro in due, la frattura più grande avverrebbe all'interno della Germania. Si aprirebbe una spaccatura tra l'opinione pubblica dei risparmiatori e dei pensionati favorevoli a una moneta forte, lieti se uscissero gli "scapigliati meridionali", e dall'altra parte l'opinione dell'industria - in conto reddito - e delle banche - in conto capitale - che sarebbero molto preoccupate se una parte della zona euro riacquistasse la licenza di effettuare svalutazioni competitive.

Lei non vede perciò il rischio di una crisi come quella che ci fu nel Sistema monetario europeo negli anni 90?
Tutto può capitare, ma non lo vedo come il risultato di un intento deliberato di politica economica. Credo intanto che ci sarebbe una grossissima resistenza in Germania. E poi ci sarebbe la conseguenze dirompente della spaccatura del mercato unico. Nel '95-96, quando l'Italia ha avuto le sue svalutazione competitive, la prospettiva era quella della nascita dell'euro. Altra cosa sarebbe se la rinata volatilità delle monete non fosse vista come un ultimo episodio prima dell'avvento della moneta unica, ma come una prima manifestazione di un nuovo regime in cui si può giocare l'arma della svalutazione competitiva. In questo caso - si tratti di dazi, montanti compensativi o aiuti di stato - i paesi rimasti a valuta forte frenerebbero le esportazioni degli altri paesi a valuta debole. Quindi sarebbe un disastro, che porterebbe a una perdita di competitività per tutta l'Europa.

Nei prossimi mesi, così importanti per l'euro, ci mancherà un convinto europeista come Tommaso Padoa-Schioppa. Qual è il suo ultimo ricordo?
Tra noi c'era un rapporto intellettuale molto speciale, anche se non ci vedevamo spesso e non ero tra gli amici intimi presenti alla cena durante la quale è morto. L'ultima volta lo vidi a un dibattito a Parigi da lui organizzato con «Notre Europe». Entrambi avevamo ricordato il problema del calcolo degli investimenti come spesa pubblica nel Patto di stabilità ed entrambi sottolineando che «la golden rule del resto è nella Costituzione tedesca». Poi gli ho telefonato due giorni dopo perché a entrambi era venuto il dubbio che, quando la Germania ha introdotto il nuovo vincolo dello 0,5% del Pil, quell'altro fosse caduto. Lui era negli Stati Uniti e ci siamo dati un appuntamento telefonico via sms.

La cosa che ho trovato impagabile è che lui mi telefonò e mi disse «Lo sai da dove ti chiamo?»

Sto andando in treno da New York a Boston e ho pensato di chiamarti da New Haven». Sapeva benissimo che io avevo studiato a Yale, che è a New Haven, perché quando io ero a Yale con mia moglie, Tommaso studiava all'Mit di Boston con Fiorella ed eravamo andati a trovarli e avevamo passato una piacevole serata assieme. È un esempio della sua grande delicatezza. La sua influenza sulle questioni europee è sempre stata molto grande. In questi giorni ho sentito spesso dire «se ne vanno i migliori». È una frase banale ma nel suo caso non potrebbe essere più appropriata.

Shopping24

Da non perdere

L'esempio di Baffi e Sarcinelli in tempi «amari»

«Caro direttore, ho letto (casualmente di fila) i suoi ultimi tre memorandum domenicali. Da

L'Europa federale conviene a tutti

Ho partecipato la scorsa settimana a Parigi a un incontro italo francese, dedicato al futuro

Non si può privatizzare la certezza del diritto

In questa stagione elettorale, insieme ad un notevole degrado, non solo lessicale, ma anche di

Le sette criticità per l'economia Usa

Quale futuro si prospetta per l'economia degli Stati Uniti e per quella globale, inevitabilmente

Sull'Ilva non c'è più tempo da perdere

La tensione intorno al caso dell'Ilva non si placa. Anzi, ogni giorno che passa – nonostante i

Casa, la banca non ti dà il mutuo? Allora meglio un affitto con riscatto. Come funziona

Il mercato dei mutui in Italia resta al palo. Nell'ultimo mese la domanda di prestiti ipotecari è


Jeff Bezos primo nella classifica di Fortune «businessperson of the year»

Dai libri alla nuvola informatica: Jeff Bezos, fondatore e amministratore delegato di Amazon,

Iron Dome, come funziona il sistema antimissile israeliano che sta salvando Tel Aviv

Gli sporadici lanci di razzi iraniani Fajr-5 contro Gerusalemme e Tel Aviv costituiscono una

Dagli Assiri all'asteroide gigante del 21/12/2012, storia di tutte le bufale sulla fine del mondo

Fine Del Mondo, Armageddon, end of the World, Apocalypse? Sembrerebbe a prima vista roba da