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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2010 alle ore 09:02.
L'ultima modifica è del 27 dicembre 2010 alle ore 09:34.
Improvvisamente, i leader del partito democratico e del partito repubblicano a Washington si sono accordati sulla necessità di importanti tagli alle tasse che interesseranno non solo gli americani della classe media, ma anche i più ricchi (sia da vivi che una volta deceduti). Questo improvviso consenso bipartisan indica che una nuova e più forte America è dietro l'angolo?
Purtroppo è vero il contrario. Perché l'accordo riporta a un approccio alla finanza pubblica particolarmente pericoloso, ovvero la continuazione e l'estensione della politica di George H.W. Bush nota come "economia-vodoo", le cui conseguenze stanno per toccare l'America e il resto del mondo.
Bush si è trovato in competizione con Reagan per la nomina repubblicana nel 1980. Al tempo, Reagan aveva suggerito che il taglio alle imposte avrebbe ripagato da sé, aumentando le entrate; una teoria macroeconomica che è diventata nota come supply side economics. Non c'è niente di sbagliato nel preoccuparsi dell'impatto scoraggiante di tasse più elevate, ma la versione estrema presentata da Reagan non risultava allora applicabile agli Stati Uniti. La riduzione delle tasse comporta anche una riduzione delle entrate e un conseguente aumento del deficit pubblico.
In realtà, nessun economista serio sta oggi rivendicando l'effetto Reagan anche perché l'Ufficio Congressuale per il Bilancio ha assunto un approccio trasparente dimostrando in dettaglio che la riduzione delle tasse comporterebbe un aumento del deficit di circa 900 miliardi di dollari. Tuttavia, il pensiero che si nasconde tuttavia dietro questa politica e che riprende ed espande la teoria di Reagan implica che l'alto livello di disoccupazione e la crescita rallentata dell'economia richiedano necessariamente l'intervento di incentivi fiscali. Per chi, in generale, predilige tasse ridotte, si tratta ovviamente di una pura illusione.
L'esperienza della politica fiscale degli ultimi decenni è abbastanza chiara: conviene usarla di tanto in tanto, in particolare quando un'eventuale non attuazione di tale politica finirebbe per dare risultati disastrosi. Così, all'inizio del 2009 ha avuto senso promuovere gli incentivi fiscali. Ma più in generale, gli stimoli fiscali difficilmente hanno un impatto a lunga durata. Ci può essere un impatto positivo temporaneo sulla domanda, oppure interessi più alti possono riuscire a compensare la spinta fiscale.