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Il mercato postale cerca Authority

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2010 alle ore 09:13.
L'ultima modifica è del 28 dicembre 2010 alle ore 10:19.

Il governo ha rispettato il traguardo fissato dall'Europa: dal prossimo anno il mercato postale sarà quasi completamente liberalizzato. La concorrenza potrà svilupparsi anche sulla corrispondenza di peso inferiore ai 50 grammi, mercato che da solo supera i 600 milioni. Ma resta un'incognita: a chi spetterà il compito di regolare la concorrenza nel settore? Il mercato è dominato da un colosso pubblico, Poste Italiane, protagonista da oltre 10 anni di una notevole storia di successo frutto delle scelte delineate alla fine degli anni Novanta, della concertazione tra management e forze sindacali, dei margini notevoli realizzati nella parte finanziaria del gruppo. A competere con il colosso Poste sono oltre mille imprese private, che raccolgono meno di un terzo degli occupati nel settore e che in rari casi, come per la Tnt olandese, hanno dimensioni rilevanti.


Al regolatore spetta dunque un compito assai delicato. Manovrando norme e tariffe si tratta di assicurare una vera competizione - che specie in alcuni segmenti e nelle aree metropolitane può produrre vantaggi notevoli per la clientela - senza con questo penalizzare il grande patrimonio di lavoro, logistica e tecnologia di Poste Italiane. Finora questo delicato compito di regolazione era svolto direttamente dal ministero delle Comunicazioni, oggi dello Sviluppo economico. Un'anomalia, eredità della vicenda storica del ministero delle Poste durante la quale le strutture del ministero e dell'azienda erano anche fisicamente molto intrecciate e di fatto indistinguibili. Ora questa anomalia non è più tollerata dalla Ue che impone agli stati membri di affidare la regolazione ad autorità indipendenti.

Qui c'è la brutta sorpresa del decreto legislativo approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 22 dicembre. Il ministro Romani non affida la regolazione ad Agcom, come da più parti auspicato e atteso, ma propone di istituire una nuova Agenzia ad hoc di fatto affidando il compito agli uffici del ministero che finora hanno seguito la materia e che verrebbero "trasformati" in Agenzia. Professionalità e competenze di quegli uffici non sono in discussione, ma è evidente il vantaggio che si avrebbe affidando la questione a un'Authority già esistente come Agcom. Non si tratta soltanto di evitare la proliferazione di autorità di settore che finiscono spesso a soffrire per mancanza di risorse e di personale. Si tratta anche di affidare un compito regolatorio piuttosto complesso a una tecnostruttura che abbia le dimensioni e l'esperienza necessarie a evitare il rischio di essere "catturata" dall'incumbent proprio nel momento dell'apertura del mercato.

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Tags Correlati: Agcom | Concorrenza | Consiglio dei Ministri | Italia | Ministero delle Comunicazioni | Poste Italiane | Stati Membri | Tnt

 

Agcom vanta una certa esperienza in materia, anche in settori in cui a competere sono stati colossi-incumbent e imprese minori (penso alla telefonia fissa) e in cui si è trattato di decidere regole e tariffe per consentire ai concorrenti l'accesso alla rete non replicabile dell'incumbent. Con tutte le differenze del caso, qualcuno dovrà definire le modalità di accesso a una sorta di unbundling postale con l'equilibrio necessario per non penalizzare Poste Italiane e non uccidere sul nascere la concorrenza. Dubito che il soggetto più adatto per farlo sia una nuova Agenzia che di fatto si presenta come braccio operativo del ministero. Conosco l'obiezione: il settore postale non potrebbe essere paragonato ad altri perché siamo in presenza di una liberalizzazione senza privatizzazione. In altri termini, restando pubblico l'incumbent meriterebbe un trattamento particolare. Ora, premesso che non mi pare che Agcom si sia caratterizzata per scelte penalizzanti per gli incumbent, la presenza di colossi pubblici non sminuisce l'importanza di una regolazione competitiva e in Italia ne abbiamo vari esempi a partire dal settore energetico.

Ragioni di merito e di finanza pubblica spingono dunque a rivedere la decisione contenuta nel decreto e mi auguro che tale revisione sia possibile attraverso il parere che il Parlamento dovrà dare in gennaio prima della definitiva approvazione della legge.

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