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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 08:50.
Una società meno divisa e capace di costruire un futuro comune. È il vero sogno di Natale e di fine anno, ha scritto giorni fa su queste colonne Bruno Forte e io sono d'accordo con lui. Non so se lo sono tutti - sono tanti i malati che s'innamorano della loro malattia - so per certo che la divisione e l'aggressività interna di cui soffriamo non sono una malattia solo italiana, sono il frutto di cambiamenti profondi che hanno investito e pericolosamente adulterato una buona parte delle democrazie avanzate.
Il mese scorso la School of Government della Luiss ha organizzato un seminario internazionale sul tema «Governare le democrazie». Ebbene, le differenze nelle forme di governo a cui attribuiamo così tanta importanza nelle nostre discussioni sulla riforma istituzionale - la differenza fra governi presidenziali e governi parlamentari, o quella fra governi del primo ministro e governi più collegiali - sembravano tutte più o meno irrilevanti davanti alle comuni difficoltà che sono emerse. E le difficoltà sono quelle di conflitti politici, che estraggono dalla società interessi, sentimenti e orientamenti diversi, li radicalizzano facendone bandiere sventolanti di confronto identitario e li rendono così non più componibili.
Né è necessario che tutti si comportino così perché si arrivi, lungo questa strada, alla delegittimazione reciproca, alla paralisi decisionale e alla conseguente corrosione di ogni tessuto comune. Basta che lo facciano parti consistenti del sistema politico. L'esperienza dei primi due anni della presidenza Obama, sottoposta a un'opposizione del genere e dopo un po' ridotta all'angolo dagli stessi elettori, è una prova eloquente di ciò che viene accadendo. Quanto all'Italia, basti dire che chiunque si adopra per trovare ragionevoli soluzioni comuni a problemi comuni è subito accusato di tentato inciucio dalle tricoteuses di entrambi gli schieramenti. E il nome stesso del reato testimonia la povertà culturale di chi lo brandisce.
Che cosa abbiamo fatto per meritarci questo e come ci siamo arrivati? Ci sono ovviamente delle specificità nazionali, ma ci sono anche delle grandi tendenze comuni. La prima investe la religione, un tempo fonte primaria di valori comuni e accomunanti nelle nostre società, che negli ultimi decenni ha visto restringersi la sua presa conformativa dei comportamenti individuali e collettivi e ha reagito accentuando l'intransigenza dirimente delle sue posizioni. Ciò sta accadendo nelle società europee e ancora di più nella democrazia americana, dove la libertà stessa e la civile convivenza dei cittadini poggiavano sulla guida morale che la religione manteneva salda nelle loro coscienze (se n'era subito accorto Tocqueville e lo ha poi insegnato John Dewey), e dove oggi fioriscono i fondamentalismi religiosi che sfidano e condizionano la politica. Col che, lungi dallo stemperare il confronto in nome di un bene comune, la religione contribuisce a esasperarlo.