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I giornali sul filo dell'iPad. Così l'edicola virtuale può richiamare lettori

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 05 gennaio 2011 alle ore 07:32.

L'entusiasmo suscitato dall'avvento dell'iPad non accenna a scemare. La Apple ha venduto 6,5 milioni dei suoi tablet nel quarto trimestre, secondo Chris Whitmore, analista della Deutsche Bank, che prevede vendite per altre 28 milioni di unità nel corso del 2011. Nonostante l'arrivo della concorrenza: il Galaxy della Samsung, con sistema operativo Android di Google è sul mercato da qualche tempo e al Consumer Electronics Show di Las Vegas, saranno presentati molti altri modelli, con diversi costruttori, oltre ai giganti Hp e Dell, impegnati nell'offerta di tablet dotati di diversi sistemi operativi, da Android a Windows, da Linux a Palm. In primavera, poi, arriverà il tablet della Rim. Ma il vantaggio di Apple è solido e resterà a lungo. Anche grazie alle migliaia di applicazioni di successo realizzate dagli sviluppatori per la sua piattaforma.

Non stupisce che anche gli editori si siano concentrati molto su questa opportunità. Ma, per sviluppare davvero tale business, occorre probabilmente superare ancora qualche ostacolo.
I dati sulle vendite delle applicazioni dei magazine per iPad negli Stati Uniti, comunicati dall'Audit Bureau of Circulations, mostrano che dopo un iniziale entusiasmo, i lettori disposti a pagare per le apps dei magazine si sono ridotti circa del 20% negli ultimi mesi del 2010. I magazine digitali e i quotidiani in versione tablet hanno continuato ad andare discretamente soprattutto quando si sono presentati gratuitamente ai lettori, grazie agli sponsor. In termini di valore d'uso, gli sfogliatori dei giornali in formato digitale, la vera umile ma strutturale novità del 2010, ha trovato un pubblico in generale soddisfatto ma talvolta impaziente nei confronti dei tempi di scaricamento dei contenuti sui loro iPad e incline a qualche protesta per l'instabilità delle prime versioni delle applicazioni.

Di certo, c'è ancora molta strada da fare prima di poter vedere un nuovo grande mercato editoriale per i giornali digitali sui tablet. L'entusiasmo iniziale degli editori era, in parte, alimentato dalla circostanza che il tablet della Apple arrivava proprio quando il loro business tradizionale si trovava ad affrontare la peggiore congiuntura degli ultimi decenni, ma era strategicamente motivato: perché l'iPad sembrava poter fare per i giornali qualcosa di analogo a ciò che l'iPod, con il negozio digitale iTunes, aveva fatto per la musica. Cioè ricreare un territorio di crescita per la vendita di giornali anche nel mondo digitale, abituato dal web a considerare i contenuti come un bene disponibile gratuitamente. A questa ipotesi, nel lungo termine, credono in molti, tanto che tutte le apps che si presentano con antiche tradizioni e grandi ambizioni, come New York Times e Washington Post, promettono di andare a pagamento prima o poi, anche se debuttano in forma gratuita, grazie al sostegno della pubblicità. Il problema è quello di capire se e quando arriverà il momento di passare con decisione al modello a pagamento.

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Tags Correlati: Chris Whitmore | Dell | EINet Galaxy | Frédéric Filloux | Internet | ITunes Music | Linux | Palm Computing | Samsung Informatica | Stati Uniti d'America | Windows

 

Considerando il mercato americano come il più avanzato in questo settore, si può leggere l'ultimo rapporto Pew Internet sulla disponibilità dei consumatori a pagare per i contenuti digitali, pubblicato il 30 dicembre 2010. Risulta che negli Stati Uniti il 65% delle persone dotate di accesso ai media digitali ha comprato contenuti: un terzo ha comprato musica e software, il 19% ha acquistato giochi e il 18% ha pagato per giornali o singoli articoli. Ma quanto hanno speso per questi consumi? Il 43% ha speso meno di 10 dollari al mese, il 7% ha speso più di 100 dollari al mese. Pew afferma che la stragrande maggioranza degli utenti si attesta su una spesa vicina ai 10 dollari.

Si tratta di un Arpu (fatturato medio per utente) di tutto rispetto. Sorprendentemente, fa notare Frédéric Filloux, analista che scrive su Monday Note, è lo stesso Arpu della gran parte dei siti web che si sostengono solo con la pubblicità. Ma le differenze del modello di business sono chiarissime: i 10 dieci dollari per utente investiti dagli inserzionisti pubblicitari sono frutto di un mercato piuttosto concentrato, mentre i 10 dollari spesi in contenuti da parte degli utenti sono contesi in un mercato molto competitivo, con prodotti estremamente diversi – giochi, musica, giornali – e nel quale decidono spesso persone molto esigenti che coltivano le più particolari forme di fedeltà ai marchi e agli autori che hanno incontrato nel corso della loro esperienza.

A complicare lo scenario della vendita di giornali digitali per i tablet, si aggiunge ora il fatto che gli editori dovranno preparare i loro giornali in modo da poterli distribuire su una molteplicità di piattaforme. E che continua a mancare un vero e proprio luogo del mercato: un chiosco dedicato alla vendita di giornali per tablet è allo studio da Google, ma per ora manca. E anche la determinazione del prezzo resta conseguentemente piuttosto complessa. Sta di fatto che la forma del tablet si presta alla lettura dei giornali e può avere un grande valore d'uso. Il che, unito alla diffusione inarrestabile di questo tipo di strumenti, fa ragionevolmente pensare che trovando la formula giusta si possa davvero creare un nuovo mercato di sviluppo.

Partirà, dicono i fatti, dalle applicazioni sostenute dalla pubblicità. Ma poiché i contenuti saranno gratuiti e gli inserzionisti vorranno vederli il più possibile diffusi, questa scelta significa che i giornali per tablet avranno molto a che fare con l'enorme bacino di utenza potenziale già presente nel web. Del resto, l'innovatività della rete continuerà a lungo a mantenere la leadership culturale sul settore dei contenuti digitali. Le versioni per tablet avranno le loro specificità, ovviamente: saranno pensate per la mobilità, avranno un'interfaccia da toccare, evolveranno in termini di forme espressive e spettacolarità. Ma non saranno un mondo a parte rispetto al web.

La conseguenza? Gli editori sono obbligati a coltivare anche la parte più divertente della loro attività, che è quella di creare e innovare, non limitandosi solo all'esercizio della scienza triste dei tagli dei costi. I nuovi strumenti di accesso all'informazione continueranno a diffondersi. E non sono sostitutivi: sono un mondo nuovo da costruire. Gli innovatori avranno un vantaggio competitivo. Ma il loro cammino si farà un passo dopo l'altro. Con coraggio.

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