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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 07:28.
Il 2011 sarà un anno molto difficile per la globalizzazione. Il 2008 ha dimostrato che la nostra epoca globale è in grado di garantire una crescita più rapida, ma anche complicazioni più rapide. Nel 2009 abbiamo visto quali benefici può apportare una reazione globale, ma nel 2010 sono ritornate le divergenze. La crescita in Asia è ripresa, ma i paesi avanzati si sono avviati verso un'alta disoccupazione. Nel 2011 assisteremo a ulteriori disparità. Il periodo delle macropolitiche concertate e coordinate, finalizzate alla ripresa, è un pallido ricordo.
C'è di peggio: il quantitave easing americano è ormai considerato alla stregua di una versione aggiornata delle politiche che contraddistinsero la Grande depressione. Il mondo sta aprendo gli occhi e sta comprendendo in che modo i tassi di cambio possono essere utilizzati per autopromuoversi a spese altrui, scoraggiando le importazioni e aumentando le esportazioni. L'America dichiara che le sue politiche monetarie promuovono gli investimenti abbassando i tassi di interesse, non i tassi di cambio, mentre i paesi emergenti affermano che i loro interventi mirano a costituire e ingrossare le riserve, non a proteggersi nei confronti dei variabili mercati dei capitali.
Le politiche ispirate al principio del "chiedere la carità al proprio vicino" non funzionarono negli anni Trenta perché i paesi risposero con la stessa moneta. Oggi accadrà la stessa cosa. Anzi, i mercati emergenti stanno già rispondendo a fondi indesiderati con controlli sui capitali, tasse sui capital gain, interventi sul tasso di cambio e tassi d'interesse più bassi. Qual è il risultato? Una maggiore incertezza nei mercati finanziari, una maggiore frammentazione dei mercati dei capitali e una significativa inversione della globalizzazione.
Gli entusiastici sostenitori della globalizzazione andranno di conseguenza incontro a tempi sempre più difficili, in quanto il boom in Asia è considerato un fenomeno a spese di posti di lavoro altrove. I leader politici potranno anche esercitare di conseguenza rinnovate pressioni per altri accordi commerciali, ma i critici non potranno esimersi dal far notare che di solito a questi accordi si associa anche una liberalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali, ovvero proprio quel genere di sistema che più di altri ha contribuito all'instaurarsi della crisi e alla sua rapida diffusione. Gli americani e gli europei che rischiano di perdere il posto di lavoro per queste ragioni saranno tra coloro che protesteranno più a gran voce.