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Fed-Bce: uno a zero in politica monetaria

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 07:32.
L'ultima modifica è del 05 gennaio 2011 alle ore 06:39.

In più occasioni, il nuovo Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d'Italia, appena pubblicato, esprime la preoccupazione (che include tra i rischi) relativa ai «rialzi significativi dei tassi a medio e lungo termine». In realtà, la situazione è ancora più complicata, come si è visto negli ultimi tre mesi sui due lati dell'Atlantico, confrontando il successo - superiore a quanto si era temuto - della politica espansiva della Fed con i problemi via via maggiori che invece caratterizzano la politica monetaria della Bce.

Anche nei prossimi mesi, man mano che si avvicina la scadenza del mandato del presidente Trichet, a Francoforte potremmo avere più problemi che a Washington.
Ricordiamo anzitutto come è migliorata la situazione in America. Quando il 3 novembre scorso si è riunito, il Federal Open Market Committee (Fomc) della Fed ha deciso l'acquisto di ulteriori titoli a lunga scadenza del Tesoro americano per 75 miliardi di dollari al mese nei successivi otto mesi (cioè fino a giugno 2011).
Le critiche relative a questa manovra, subito battezzata come QE2 (perché è la seconda volta che la Fed fa una politica di diretta crescita della quantità di moneta), andavano in direzione opposta: sarebbe stata inefficace nel contrastare il rallentamento dell'economia, evidente già dall'estate; oppure sarebbe stata dannosa nella misura in cui avesse provocato inflazione. In realtà, l'esperienza dei due mesi successivi è risultata positiva: è scomparsa l'aspettativa di una possibile deflazione dei prezzi, e si è consolidata una previsione più ottimistica sul futuro andamento della domanda aggregata.


L'intera curva della struttura temporale dei tassi di interesse sul dollaro si è infatti mossa verso l'alto di quasi un punto percentuale, segnalando una miglior intonazione macroeconomica da estendere all'anno nuovo. È esattamente ciò che qualcuno aveva allora previsto: la Fed poteva avere successo sia riuscendo a ridurre i tassi a lunga scadenza (con una curva dei tassi divenuta più piatta) sia riuscendo a far salire l'intera curva dei tassi (ponendo così fine ai timori di deflazione).
Un'analoga fortuna non potrà toccare alla nostra banca centrale, perché da noi la Bce non ha solo un difficile problema macroeconomico, ma anche complicati problemi micro, cioè di rischiosità dei debiti (privati e/o pubblici) di alcuni paesi e delle conseguenze di ciò sulle loro economie che si muovono comunque su sentieri di crescita tuttora molto diversa.

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Tags Correlati: Banca d'Italia | Bce | Europa | Fed | Federal Open Market Committee | Politica monetaria | Stati Uniti d'America

 

Ricordiamo che anche nei prossimi mesi la Germania e quella che una volta chiamavamo area del marco continueranno a crescere a ritmi molto positivi, mentre restano con una crescita frenata i paesi periferici che nell'anno scorso sono andati molto vicini alla bancarotta. I due gruppi di paesi avrebbero bisogno di un livello dei tassi di interessi e del cambio sul dollaro diversi: ambedue più alti nel caso della Germania e della sua area rispetto ai paesi periferici. Cosa evidentemente impossibile per una sola moneta, cioè per una sola politica monetaria attuata dalla stessa banca centrale.


Di qui il giudizio che l'anno sia iniziato con un successo nel caso della Fed e invece con un persistente problema nel caso della Bce, problema cui potrebbero - ma davvero lo vogliono? - soccorrere solo i governi dell'Unione, se riusciranno nel corso del "semestre europeo" a convincere i mercati che esistono due opposte strategie macroeconomiche nel corso del 2011. La prima - dei paesi dove è più forte la ripresa trascinata dalle esportazioni, che è volta alla crescita della domanda interna - e la seconda, che è invece mirata alla riduzione dei troppi debiti già fatti. Parigi se ci sei batti un colpo.

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