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America, guarda in faccia la realtà

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2011 alle ore 06:39.


Con il sospirato addio al 2010, l'America dirà addio anche alla depressione, sia nella variante economica che in quella psicologica? La W smetterà di evocare lo spettro di nuovi tracolli economici e tornerà a essere semplicemente la ventitreesima lettera dell'alfabeto? Prendendo il treno dei pendolari da Pleasantville, sobborgo settentrionale della Grande Mela, alla Grand Central Station nell'ultimo fine settimana prima di Natale, l'impressione che si ricava è questa. Sono due mesi di fila che la fiducia dei consumatori cresce, e sembravano tutti lì su quel treno questi consumatori, con il portafogli fremente dal desiderio di entrare in azione. Tarchiati trentenni in libera uscita dai sobborghi residenziali che brandendo lattine di Bud Lite urlano a chi ha voglia di ascoltarli (forse Ben Bernanke?) che shoppingeranno fino alla morte. Sotto Natale la Grand Central Station si trasforma in un bazar. E, fra i tintinnii dei registratori di cassa, venditori di sciarpe di seta, bigiotteria thailandese e polacca, prodotti in pelle martellata e articoli di cancelleria firmati, fanno ricchi affari in mezzo alle masse sgomitanti.
Ma questa è Manhattan o è l'America? Sulla West Side Highway, il cartellone pubblicitario di un'azienda non nuova a messaggi provocatori proclama (contro i propri stessi interessi, verrebbe da pensare): «New York. Dove le persone sono gay in pubblico e repubblicane in privato. Perché andar via?». Ma il Senato nazionale, in carica ancora fino a gennaio, si sta congedando con una serie di audaci performance, tra cui l'abolizione della politica del dont'ask, don't tell, che vietava ai militari gay di dichiarare pubblicamente il loro orientamento sessuale. C'è stato qualche brontolio tra i marines, ma in un sondaggio la maggioranza degli intervistati si è detta convinta che questa misura migliorerà il morale delle forze armate, non il contrario.
Prendendo il treno nella direzione opposta, il roseo scenario si dissolve in ruggine e squallore. Le città della parte settentrionale dello stato, come Poughkeepsie e Buffalo, hanno un tasso di disoccupazione che non si vedeva dai tempi della guerra. Un adulto su sette vive al di sotto della soglia di povertà ufficiale, e per i bambini si sale a uno su tre: un dato statistico veramente vergognoso. Milioni di cittadini di questa America bastonata tirano avanti solo grazie alle mense per poveri e ai buoni spesa dell'assistenza pubblica. Sette americani su dieci hanno un caro amico o un parente che ha perso il lavoro. Siamo ancora nell'America in 3D: desolazione, devastazione, deprivazione.

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Ma guardiamo il lato positivo! Barack Obama, ci dicono i pragmatici, ha appena rilanciato la sua presidenza raggiungendo con i repubblicani l'accordo per una doppia proroga. Loro hanno accettato di prorogare i sussidi di disoccupazione e lui ha accettato di prorogare i tagli alle tasse introdotti da Bush per il 2% di americani più ricchi. I poveri si godono un po' di tregua e i ricchi si godono un po' di sole ai Caraibi.
Ma va bene così, insistono con tono pontificante i media della destra, perché solo quegli illusi dal cuore tenero dei liberal continuano a pensare che la disuguaglianza, già enorme e che cresce sempre più, sia una cosa brutta, e si ostinano a non capire che invece è il motore della prosperità nazionale! Più si allarga il divario tra abbienti e non abbienti, più tagli alle tasse, scappatoie fiscali e detassazioni dell'eredità concediamo ai plutocrati, più tutti questi soldi filtreranno in qualche modo verso quelle aziende che creano occupazione.
Ma finora così non è successo e così non sta succedendo. Quantomeno, non dove servirebbe, cioè sul fronte della disoccupazione, nonostante il mercato azionario sia cresciuto quasi del 90% rispetto al marzo del 2009, quando toccò il fondo. E qui entra in scena la nuova tornata di "espansione quantitativa", quel grosso e cattivo programma di acquisto di titoli di stato a cui la maggioranza parlamentare repubblicana ha già dichiarato guerra: i parlamentari del partito dell'elefantino dicono chiaro e tondo che queste misure annunciate dalla Fed sono irresponsabili e rilanceranno l'inflazione. Just a moment, please: ma di quale inflazione stanno parlando? È ai minimi storici e non mostra nessuna intenzione di voler ripartire. Ma questo è solo un antipasto di ciò che sarà la governance americana nello stravagante mondo della 112ª legislatura: la realtà si metta in coda, hanno la precedenza mantra scanditi in coro e autopropellenti, contro cui i fatti possono poco o nulla. La realtà dominante per i repubblicani sarà vedere chi riuscirà a enumerare la lista dei toccasana in modo abbastanza truce da riuscire ad affermarsi come vero portabandiera del Tea Party: trite litanie di politici in malafede a maggior danno di elettori creduloni. Invece di ragionare a mente aperta su come rimettere in riga il paese (magari intervenendo sull'irresponsabilità delle grandi corporation o sull'incauta espansione dell'apparato militare), la loro speranza è di riuscire a tener vivo l'isterismo della nazione fino al 2012, in vista di una bella campagna elettorale fatta di strilli, frastuono, piazzate invereconde e atteggiamenti infantili.
Più tristi e più saggi di allora, noi che eravamo al Washington Mall quel gelido mattino in cui Obama pronunciò il suo discorso di insediamento, ci accorgiamo ora che fra tutte le coraggiose e insostenibili speranze pronunciate dal nuovo presidente, la più insostenibile di tutte si è dimostrata quell'impegno, ispirato alla Bibbia, ad «abbandonare le cose infantili». Tanto valeva provare ad abolire per legge la parola "sogno" dal dibattito pubblico americano. Sogni? Realtà? Siamo ben lontani.
La singolar tenzone tra fatti e fantasie, tra maturità e fole adolescenziali sarà il grande leitmotiv politico dei prossimi anni. Le premesse non sono incoraggianti. Personaggi che vivono sull'"isola che non c'è" della finanza pubblica stanno per essere nominati in ruoli che comportano una supervisione di istituzioni che amerebbero veder scomparire. Il deputato repubblicano dell'Alabama Spencer Bachus, presidente della commissione della Camera incaricata di applicare le riforme finanziarie Dodd-Frank, viene a dirci che gli organismi di regolamentazione dovrebbero essere "al servizio" delle banche. Ron Paul, il nostalgico del gold standard (posizione alquanto peculiare per un populista), autore di un libro in cui invoca l'abolizione della Federal Reserve, ora, in quanto presidente della commissione politica monetaria, sarà nella posizione per riportare la banca centrale ai tempi in cui J. P. Morgan doveva correre in soccorso delle finanze pubbliche per evitare il tracollo. E fra tutte queste favole per bambini dell'asilo, troneggia la convinzione, che più che da bambino dell'asilo è da neonato in fasce, che si possa intaccare seriamente il deficit senza mai contemplare la possibilità di ridurre la spesa militare, tagliare servizi sociali come il Medicare - la sanità pubblica gratuita per gli ultrasessantacinquenni - e le pensioni (misure non proprio popolarissime fra le attempate milizie del Tea Party) o aumentare le tasse. Basta tagliare la spesa discrezionale, rivedere gli stanziamenti più eccentrici o azzerare i finanziamenti a quel covo di socialisti che è la radiotelevisione pubblica: ed ecco che in quattro e quattr'otto i conti saranno tornati in ordine.
Naturalmente ogni tanto c'è anche qualche repubblicano, come il deputato del Wisconsin Paul Ryan, con palle e cervello in dotazione sufficiente a fare i conti con la realtà: uno che ha la temerarietà di dire che se la destra vuole davvero ridurre il deficit deve prendere in considerazione l'idea di tagliare la spesa militare o di suicidarsi elettoralmente sforbiciando il Medicare o allungando l'età pensionabile. Buona fortuna, amico.
Possiamo aver cambiato opinione su tanti aspetti del 44° presidente degli Stati Uniti, ma nessuno lo considera un fesso. Con ogni probabilità, Barack e Michelle la sera del 31, sotto il cielo stellato di Oahu, avranno alzato il bicchiere e brindato con convinzione all'anno che viene. Un'infornata di vittorie legislative, dal trattato Start alla copertura sanitaria per i volontari dell'11 settembre affetti da malattie croniche, improvvisamente lo ha trasformato nel presidente dei fatti contro il Congresso dei no. E se Obama è perfettamente consapevole del malcontento repubblicano, è consapevole anche delle divisioni che emergeranno fra i suoi nemici: fra chi promette di tagliare le tasse senza tener conto della realtà e chi vuole veramente risanare i conti pubblici; fra chi vuole sforbiciare la spesa militare e i massimalisti dell'America über Alles; fra i tribuni del Tea Party come il paladino del grande capitale Jim de Mint e i libertari assatanati come Paul padre e figlio; fra gli oligarchi che ancora dirigono il partito come Karl Rove e gli outsider che li detestano come Sarah Palin.
Obama sarà tentato di starsene in disparte e lasciare che esplodano le contraddizioni nell'altro campo, come ha fatto molte altre volte in passato, con il tamburellamento costante di una ripresa che gli sussurra nell'orecchio «Prenditela comoda, capo». Ma deve qualcosa di più a questa nazione che ha sofferto e sta soffrendo tanto. Le deve la verità, e deve trasmettergliela in modo tale che gli americani possano percepire che conoscere la gravità della situazione non è un impedimento, ma la condizione indispensabile per la rinascita collettiva. Ha l'occasione di farlo con il discorso sullo stato dell'Unione, un'opportunità per rimettere in moto l'America e ricreare ancora una volta la politica Usa. Per quello che vale, sono pronto a scommettere che lo farà.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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I PROTAGONISTI
OBAMA RIPARTE DALLE PROROGHE
pEletto nel 2008, Barack Obama (nella foto) ha subito una pesante sconfitta alle elezioni di mid-term ma ha appena rilanciato la sua presidenza raggiungendo con i repubblicani un accordo per una doppia proroga: quella sui sussidi di disoccupazione e quella sui tagli alle tasse introdotti da Bush per il 2% degli americani più ricchi.
LA MOSSA DELLA FEDERAL RESERVE
pA novembre la Fed di Ben Bernanke (nella foto) ha tentato una sterzata per far ripartire l'economia a stelle e strisce con la carta del quantitative easing 2. I tassi sono rimasti fermi, ma il governatore Bernanke ha annunciato l'operazione di riacquisto di 600 miliardi di dollari di obbligazioni del Tesoro al ritmo di 75 miliardi al mese.
BANCHE VS FINANZA PUBBLICA
pIl repubblicano Ron Paul (nella foto), nostalgico del gold standard, presidente della commissione per la politica monetaria, è nella posizione per riportare la Fed ai tempi in cui Jp Morgan dava una mano alle finanze pubbliche. E il repubblicano Spencer Bachus dice che gli organi di regolamentazione dovrebbero essere "al servizio" delle banche.
LA RICETTA DI PAUL RYAN
pIl deputato repubblicano del Wisconsin, Paul Ryan (nella foto), ha avuto la temerarietà di dire che se la destra vuole ridurre il deficit deve valutare l'ipotesi di tagliare la spesa militare o di "suicidarsi" elettoralmente sforbiciando le spese per la sanità o allungando l'età pensionabile.

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