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Il lavoro scompare dentro le bolle. Il difficile rebus per l'incontro tra domanda e offerta

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 07:53.

L'economia è solo una questione di domanda e offerta. Solitamente esiste una situazione di equilibrio e, in caso contrario, subentrano forze potenti in grado di spingere il mercato verso tale equilibrio. Eppure, visti gli elevati e persistenti livelli di disoccupazione negli Stati Uniti, ci si pone una domanda sulla natura del problema: è la domanda aggregata che è troppo bassa, o sussistono problemi di offerta?

L'amministrazione del presidente Barack Obama sembra credere che il problema sia legato alla domanda, e ha messo in atto tutta una serie di misure di stimolo, riducendo le tasse e facendo lievitare i trasferimenti di denaro e la spesa pubblica allo scopo di incentivare i consumi e gli investimenti. La Federal Reserve è dello stesso avviso; infatti, ha mantenuto non solo i tassi di interesse a breve ai minimi storici, ma si è anche imbarcata in una manovra rischiosa che ha come obiettivo i tassi a lungo termine. Alcuni economisti progressisti vorrebbero, addirittura, ulteriori interventi.

Per quale motivo tali politiche non hanno finora comportato la riduzione della disoccupazione, pur intravedendosi una ripresa economica? Secondo gli economisti progressisti, il piano di stimolo ha funzionato, evitando una recessione più profonda, se non peggiore, ma le misure sono state troppo timide per generare una ripresa robusta.
Secondo gli economisti conservatori, invece, la situazione è tale perché il governo è diventato così generoso con il denaro dei contribuenti da spingere le famiglie, preoccupate da eventuali tasse future, a scegliere una linea difensiva e puntare al risparmio. Inoltre, sul fronte delle future misure normative e fiscali il governo ha lasciato le aziende nell'incertezza, così disincentivandole a investire.

La verità forse sta nel mezzo. Anche se le spese pubbliche, soprattutto in relazione ai sussidi di disoccupazione, agli aiuti statali e ad alcuni progetti edilizi, hanno probabilmente contribuito ad evitare una recessione più pesante, il costante bilancio in rosso continua a preoccupare le famiglie, che stanno tentando di ricostruire i risparmi e di ridurre i debiti dopo anni di spese sfrenate.

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L'incertezza normativa, creata in settori quali la sanità, non solo rende difficile per il settore sanitario prendere qualsiasi decisione di investimento a lunga scadenza, ma impedisce anche alle aziende di fare assunzioni a lungo termine.

Ciononostante, prima di dare un giudizio affrettato sulla politica attuale, dovremmo prendere in considerazione l'andamento delle recenti riprese americane per spiegare la lenta crescita occupazionale. Dal 1960 al 1991, negli Stati Uniti le riprese dalle rispettive recessioni sono state solitamente rapide. Dal punto più basso della recessione, l'economia ha recuperato mediamente in otto mesi i posti di lavoro persi. Le riprese dalle recessioni del 1991 e del 2001 sono state del tutto differenti. Nel 2001, ad esempio, è bastato un trimestre per far riprendere la produzione, ma ben 38 mesi per recuperare i posti di lavoro.

Le spiegazioni sono numerose. Secondo alcuni economisti, diversamente dalle precedenti recessioni, nelle quali i lavoratori venivano temporaneamente licenziati da un settore per poi essere riassunti una volta riavviata la ripresa, a partire dal 1991 le perdite dei posti di lavoro sono state permanenti. I problemi sono stati aggravati dal fatto che le aziende, per far fronte alla recessione, hanno dovuto fare scelte dure che hanno comportato la chiusura di alcune linee di produzione e il taglio dei posti di lavoro. Di conseguenza, i lavoratori disoccupati hanno dovuto trovare posti di lavoro in nuovi settori, e ciò ha richiesto più tempo e formazione professionale.

Secondo alcuni, internet avrebbe accelerato i tempi di assunzione da parte delle aziende. Quindi, invece di farsi prendere dal panico e assumere al primo segnale di ripresa, come avveniva in passato, per paura di non poterlo fare in seguito e di perdere le vendite, oggi le aziende preferiscono assicurarsi che la ripresa sia ben avviata prima di fare eventuali assunzioni. Di conseguenza, oggi si punta di più sulle assunzioni temporanee.

A prescindere da quale sia la giusta spiegazione, la storia delle recenti recessioni suggerisce che non dovremmo essere sorpresi dal fatto che il mercato del lavoro abbia bisogno di tempo per riprendersi. Questa volta, però, il problema nasconde un altro aspetto: i periodi di inattività nel settore edile. In ciò sta un'altra spiegazione che giustifica la tiepida crescita dell'occupazione, nonché una salutare lezione di politica.

Nell'ultimo boom, i posti di lavoro nell'edilizia crebbero in modo significativo, e gli investimenti nel settore immobiliare (come componente del Pil) aumentarono del 50% dal 1997 al 2006. Come hanno dimostrato il mio collega Erik Hurst e il suo team, gli stati che nel 2000-2006 hanno evidenziato il maggiore incremento nel settore edilizio (come percentuale del Pil) tendevano ad avere una maggiore contrazione in questo settore nel periodo successivo 2006-2009. Tali stati tendevano altresì a registrare un maggiore livello di disoccupazione tra il 2006 e il 2009.

La disoccupazione coinvolge non solo i lavoratori edili, ma anche tutti quelli che sono collegati a tale settore come gli agenti immobiliari, nonché artigiani quali idraulici ed elettricisti. I posti di lavoro persi vanno ben oltre quelli strettamente legati al settore edilizio.

È difficile credere che un eventuale incremento nella domanda aggregata basti a incentivare il mercato immobiliare - che, non dimentichiamo, fu sostenuto da idee di costante aumento dei prezzi che pochi sembrano supportare oggi - per re-impiegare tutti questi lavoratori. Hurst stima che tale disoccupazione "strutturale" possa rappresentare fino a tre punti percentuali della disoccupazione totale. In altre parole, se non fosse per l'edilizia, il tasso di disoccupazione americana sarebbe pari al 6,5% - una situazione nettamente più sana di quella odierna.

I policymakers dovrebbero ricordare che il boom immobiliare è stato alimentato da una politica monetaria non oculata, che avrebbe dovuto espandere la crescita occupazionale di pari passo con la graduale uscita degli Usa dall'ultima recessione. In effetti, a Las Vegas i tassi degli studenti diplomati erano scesi bruscamente, dal momento che molti decisero di abbandonare la scuola per accettare i lavori non qualificati, disponibili nell'edilizia. Ora quei disoccupati senza istruzione si trovano di fronte a un livello di disoccupazione tre volte superiore a quello dei diplomati. Sarà difficile per loro rientrare nel mondo del lavoro.
La lezione per i policymakers è chiara: invece di cercare costantemente di incentivare la spesa e creare potenzialmente problemi per il futuro, sarebbe più logico incoraggiare la crescita occupazionale facilitando la "riqualificazione" dei disoccupati, soprattutto di quelli legati al settore edilizio. Alla fine, una migliore offerta di forza lavoro creerà una domanda più florida e sostenibile. (Traduzione di Simona Polverino)

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