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L'inflazione rialza la testa? Mobilizziamo i patrimoni

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2011 alle ore 06:38.

L'inflazione dell'area-Euro rialza la testa e supera la soglia del 2% che rappresenta il target annunciato dalla Bce. Anche in Asia i timori di inflazione crescono: la Bank of China ha aumentato i tassi di interesse a Natale, consigliata da un tasso di inflazione dei prezzi al consumo che a novembre ha superato il 5%, il massimo da oltre due anni. Tendenze analoghe in India (con prezzi in aumento dell'8%), Indonesia (7%), Corea (3.5%). Ma di quale inflazione stiamo parlando?
La risposta delle autorità monetarie alla prima fase della crisi globale è stata quella di salvare le banche, dopo che si è compreso che il fallimento di Lehman Brothers aveva paralizzato i mercati finanziari e indotto a tesorizzare la liquidità.

Tra ricapitalizzazioni, nuove linee di credito, garanzie, nel sistema globale è stata immessa liquidità per alcune migliaia di miliardi. Anche la risposta alla seconda fase della crisi, con la recessione e l'aumento della disoccupazione, è stata di espansione monetaria con la Fed in testa, dopo un timido accenno di exit strategy che i mercati hanno subito rifiutato. Risultato: nel mondo la liquidità abbonda, anche se le tensioni e le dinamiche valutarie rendono incerto se si tratti sempre di moneta "buona", oppure "cattiva" (si veda l'articolo di Kenneth Rogoff sul Sole di mercoledì 5 gennaio). Questa liquidità non alimenterà tuttavia l'inflazione dei prezzi dei beni industriali: per quelli, c'è troppa offerta potenziale in giro per il mondo.

In un saggio del 2000 dal titolo "Cenni di macroeconomia per il 21° secolo", il Nobel Robert Lucas sosteneva che il tasso di crescita mondiale rimarrà alto grazie ai processi di industrializzazione nei Paesi emergenti fino al 2100, anche se tenderà a diminuire progressivamente. Se, com'è vero, ci troviamo in questa lunga transizione (oltre a Cina, India e Brasile, ci sono gran parte dell'Asia e dell'Africa ancora indietro), solo un'ondata di protezionismo potrebbe impedire ai costi medi di produzione industriale nei Paesi emergenti di fare da argine all'inflazione manifatturiera. In quei Paesi il lavoro, e sempre più quello specializzato e intellettuale, costa ancora molto poco.

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Tags Correlati: Associazione Management Club | Banca d'Italia | Bank of China | Bce | Cina | Fed | India | Inflazione | Kenneth Rogoff | Robert Lucas |

 

L'inflazione che rialza la testa riguarda invece le merci scarse in giro per il mondo: l'energia, le materie prime, il cibo, l'acqua, le case (non certo negli Usa o in Spagna, ma in Cina e anche in Italia). E ancora: la salute, l'istruzione, il tempo libero, forse l'intelligenza. Non si tratta di un'inflazione meno preoccupante, anzi. Come scriveva sempre Lucas nel 2000, mentre nel 21° secolo assisteremo al ristabilirsi di una maggiore eguaglianza nei redditi e nella ricchezza medi tra Paesi diversi, nulla assicura che questo non si accompagni ad un aumento delle disparità all'interno di ciascun Paese. I segnali ci sono tutti, a partire proprio dall'inflazione che colpisce i ceti medio-bassi nei consumi di quelle merci scarse, dall'energia ai trasporti, dalla salute a quei servizi gestiti senza concorrenza e che solo un mix di istruzione, intelligenza e tempo disponibile possono consentire ai cittadini di ridurre (è recente l'ennesima denuncia del prezzo esorbitante dell'assicurazione RC auto in Italia). Le diseguaglianze poi, nel nostro Paese, riguardano sempre più la ricchezza: per un punto di forza così enfatizzato della nostra società, quel patrimonio privato che ci ha consentito di reggere alla crisi senza aumentare troppo il deficit fiscale, apprendere dalla Banca d'Italia che esso si va sempre più concentrando in poche mani non è una buona notizia.

Se le cose stanno così, le sfide che le élite italiane hanno di fronte sono ardue, come emerge dal nuovo Rapporto annuale sulla Classe Dirigente che la Luiss sta redigendo assieme alla Associazione Management Club, e che la Presidente Marcegaglia illustrerà prossimamente. Di debito si può morire (Grecia e Irlanda docent), ma di patrimonio si può languire. Occorre mobilizzare i patrimoni privati, con nuove forme di finanza per lo sviluppo, con rischi e vantaggi esplicitamente partecipati e suddivisi tra imprese, banche, grandi investitori e famiglie. E bisogna trovare nuovi criteri e canali per valutare e quindi ridurre le diseguaglianze, se non si vuol mettere a dura prova nei prossimi anni quell'equilibrio tra benessere, coesione sociale e libertà politica che sempre più difficile da mantenere, come profetizzava Dahrendorf.

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